Jun
27
2016
Spagna: la lezione delle elezioni e la riforma italiana

Dalla Spagna arrivano buoni argomenti a favore della riforma italiana.
Le elezioni spagnole, a distanza di soli sei mesi dalle precedenti, hanno di nuovo dato un risultato nullo: i quattro partiti principali si sono spartiti i seggi senza lasciar intravedere alcun governo possibile. I seggi della Camera spagnola sono 350. I popolari ne hanno conquistati 137, i socialisti 85, l’alleanza tra Podemos e Izquierda Unida 71 e Ciudadanos 32. Altri 25 seggi sono andati a forze minori.

L’unico governo possibile è una “Grosse Koalition” alla tedesca tra popolari e socialisti. Ma i socialisti spagnoli non sono entusiasti all’idea di seguire le orme della Spd, che sta pagando caro, in termini di consenso, il suo appoggio a Frau Merkel. Per di più, i popolari spagnoli non sono democristiani storici come la Cdu, ma un partito dalle altrettanto storiche radici franchiste. Sarebbe insomma un’alleanza difficile: sia sotto il profilo programmatico, che sotto quello politico-culturale. Rischierebbe di aprire spazi immensi a Podemos-IU. D’altra parte non si può neppure pensare di tornare a votare per la terza volta… Anche perché, nel frattempo, Rajoy continua a governare da mesi senza la fiducia del Parlamento… Un bel rompicapo

A meno che… A meno che non si faccia decidere agli elettori quale dei due partiti arrivati primi debba governare. Con un bel ballottaggio tra popolari e socialisti. Come prevede la legge elettorale in vigore da noi, il cosiddetto “Italicum”. Che assegna al partito che al primo turno supera il 40 per cento dei voti una (limitata) maggioranza assoluta in seggi (340 su 630). E se nessuno arriva a quella soglia (come è successo in Spagna), restituisce la parola agli elettori, facendo decidere a loro quale delle due forze maggiori debba governare.

Sarà opportuno tenere bene a mente la “lezione spagnola” quando, in autunno, andremo a votare al referendum costituzionale. Se voteremo Sì alla riforma avremo un sistema che, superando il bicameralismo paritario, assegnando alla sola Camera il potere di dare e togliere la fiducia al governo e prevedendo (fuori dal testo costituzionale, ma in coerenza con esso), una legge elettorale maggioritaria a doppio turno (per l’appunto l’Italicum), crea le condizioni perché siano i cittadini-elettori a decidere chi debba governare. Se invece vinceranno i No, ci terremo il Senato attuale, doppione della Camera, e ci troveremo in uno scenario spagnolo: alle prossime elezioni, assai probabilmente, non vincerà nessuno e bisognerà mettersi a discettare di governi di coalizione tra forze eterogenee, governi tecnici, deboli, instabili e non decisi dagli elettori. Il massimo, in un momento difficile come quello che tutta l’Europa sta attraversando…

I rapporti di forza emersi dalle recenti elezioni amministrative hanno dimostrato che il governo del paese è e resta contendibile, almeno da tre proposte politiche diverse: Pd, M5s e centrodestra. Tutti e tre possono ragionevolmente aspirare a vincere e governare. Perché allora M5s e centrodestra si ostinano a opporsi alla riforma e all’Italicum? È chiaro: perché non vogliono che Renzi e il Pd si appuntino al petto la medaglia di aver finalmente portato a casa una riforma della quale il paese ha un grande bisogno e che è attesa da decenni. Ma è altrettanto chiaro che si tratta di una posizione cinica e miope. Cinica, perché ignora l’interesse del paese ad avere un governo stabile legittimato dagli elettori. E miope, perché sembra ignorare che alle prossime elezioni politiche potrebbe toccare a uno dei due poli del No mangiarsi le mani, quando si troverà nell’impossibilità di governare, pur avendo, magari, vinto le elezioni”. Lo scrive Giorgio Tonini, responsabile Responsabile Autonomia, sussidiarietà e federalismo regionale ed europeo della segreteria nazionale Pd, sulla sua pagina Facebook.

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