May
18
2016
Il Pd contro le tesi manichee dei giudici alla Scarpinato
Il mio articolo pubblicato su "Il Foglio"

Nell'intervista-manifesto del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, rilasciata a Liana Milella della Repubblica I'll maggio scorso, fonda le ragioni del no (un no esplicito, pubblico e militante) alla rifor­ma costituzionale, su una teoria generale del­la crisi della democrazia europea. "Si è av­viato - dice Scarpinato - un complesso e so­fisticato processo di reingegnerizzazione oli­garchica del potere, che si declina a livello sovranazionale e nazionale". La principale manifestazione di questo processo "è quella di sovrapporre i principi cardine del liberi­smo a quelli costituzionali, trasfondendo i primi in trattati internazionali e trasferendo­li poi nelle costituzioni nazionali". Esempio tipico di questa tendenza in atto, spiega Scar­pinato, "è l'articolo 81 della Costituzione (co­me riformato nel 2012, ndr) che, imponendo l'obbligo del pareggio di bilancio, impedisce il finanziamento in deficit dello Stato socia­le e trasforma i diritti assoluti, sanciti nella prima parte della Costituzione, in diritti rela­tivi, cioè subordinati a discrezionali politiche di bilancio imposte da organi sovranazionali, spesso di tipo informale e privi di legitti­mazione democratica". Più radicalmente, prosegue il procuratore, il nuovo articolo 81 "ha costituzionalizzato il principio della lega­lità sostenibile, cioè della subordinazione dei diritti alle esigenze dei mercati, e quin­di delle forze che governano i mercati, e si av­via a divenire una norma baricentrica del processo di ricostituzionalizzazione in cor­so". Abbinato alla torsione autoritaria insita nella riforma Boschi, conclude Scarpinato, il nuovo articolo 81 rischia di trasformare il ruolo del magistrato "da amministratore di giustizia in amministratore di ingiustizia". Di qui il dovere delle toghe di scendere in cam­po per il no nel referendum.

La tesi di Scarpinato è suggestiva, sul pia­no filosofico. Come sono sempre suggestive le riduzioni della complessità a spiegazioni semplicistiche e manichee. Il procuratore di

Palermo, ad esempio, sembra ignorare del tutto piccoli dettagli come lo scontro tra ame­ricani e tedeschi sul rapporto tra debito e crescita. Ma è già sul piano filologico che la tesi vacilla. Contrariamente a quanto si sen­te dire a destra e a manca, dai populismi di tutte le osservanze, il nuovo articolo 81, come è uscito dalla riforma del 2012, votata dalla larghissima maggioranza che sosteneva il go­verno Monti, non solo non ha ridotto gli spa­zi di discrezionalità della politica di bilancio previsti dal testo originario del 1948, ma li ha significativamente ampliati.

 Il testo del 1948 stabiliva il principio del pareggio di bilancio in modo assai più peren­torio del testo del 2012. Il vecchio testo, figlio del rigore lombardo di Ezio Vanoni, si limi­tava infatti a prescrivere, al comma 4: "Ogni legge che importi nuove o maggiori spese de­ve indicare i mezzi per farvi fronte". Ogni singola legge. Compresa, naturalmente, la legge finanziaria. Non può uscire una lira dalle casse dello Stato, senza che ne entri un'altra a copertura. Punto. Il finanziamen­to in deficit dello Stato sociale, ampiamente praticato per decenni e rimpianto da Scar­pinato, ha dunque preso corpo "contro" la Costituzione nata dalla Resistenza e non gra­zie ad essa. Il gigantesco debito pubblico ita­liano, accumulato fuori da qualunque previ­sione costituzionale, sta lì a dimostrare quanto l'articolo 81 sia stato la norma più ignorata, aggirata, violata della storia della Repubblica.

Il nuovo articolo 81 è assai meno rigido, già dal comma 1, che recita: "Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del pro­prio bilancio, tenendo conto delle fasi avver­se e delle fasi favorevoli del ciclo economi­co". In altre parole, lo Stato deve fare avan­zo nelle fasi positive, per avere margini di de­ficit in quelle negative. "Il ricorso all'indebi­tamento - recita il comma 2 - è consentito so­lo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Ca­mere adottata a maggioranza assoluta dei ri­spettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali". Dunque il ricorso all'indebita­mento, che era una prassi "extra" e "contra legem" nel vecchio regime, una sorta di costi­tuzione materiale sorta accanto a quella scritta, come un palazzo abusivo costruito ac­canto a una dimora storica, viene portato a trasparenza nel testo della Carta e viene re­golato sulla base di precisi criteri.

A questo proposito può essere interessan­te rileggere una nota del servizio del bilan­cio del Senato, riguardo alla legge di stabi­lità per il 2015. "Per quanto attiene al rispet­to dei vincoli di copertura degli oneri di na­tura corrente previsti dal ddl, si può ritene­re che le soluzioni presentate nello schema di copertura del ddl di stabilità in esame siano conformi alle disposizioni se interpre­tate alla luce del mutato quadro di bilancio nazionale conseguente alla riforma che ha introdotto il pareggio di bilancio in Costitu­zione. In particolare, l'obbligo di non peg­gioramento del risparmio pubblico si può ri­tenere assorbito dal vincolo di equilibrio formulato dalla nuova normativa in termini di saldo netto da finanziare". In sostanza, i primi, ancora timidi, margini di flessibilità introdotti dall'allora neonato governo Ren­zi sarebbero stati impensabili alla luce del­la normativa in vigore prima della riforma dell'articolo 81. Il servizio del bilancio del Senato segnala la contraddizione tra la vec­chia normativa, a cominciare dalla legge di contabilità, e il nuovo articolo 81. E ovvia­mente ritiene assorbita la normativa di ran­go inferiore (legge di contabilità) da quella costituzionale come appena riformata.

La scorsa settimana, insieme al collega Francesco Boccia, presidente della commis­sione bilancio della Camera, abbiamo pre­sentato un ddl di riforma della legge di con­tabilità, per adeguarla al nuovo articolo 81 della Costituzione. "Reingegnerizzazione oligarchica"? No, inveramento dello spirito della Costituzione del 1948, nella mutata condizione storica, della quale è certamen­te parte la difficile ma necessaria unificazio­ne dell'Europa. La stessa intenzione che, su una scala assai più vasta, ispira la riforma Boschi.

* Vicepresidente del gruppo Pd a Palazzo Ma­dama, membro della segreteria Pd, presidente delia commissione Bilancio del Senato

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