Oct
03
2015
Conquiste del passato e cambiamento: questa è una sfida storica
Articolo pubblicato su "L'Unità"

Ascoltando gli interventi dei colleghi e in particolare quelli dei senatori dell'opposizione, nel corso dei lunghi giorni di
discussione generale in Senato, ho cercato di riassumere a me stesso il senso della riforma costituzionale che stiamo approvando. Mi è tornata così alla mente una frase di Sant'Ambrogio, che uno dei padri costituenti, Giuseppe Lazzati, amava richiamare, quasi come un motto dei veri riformatori, nella chiesa e nella società civile e
politica: «Nova semper quaerere et parta custodire». Dobbiamo desiderare, domandare, volere intensamente le cose nuove, il cambiamento, senza averne paura. E nello stesso tempo, dobbiamo custodire con attenzione e rispetto, quasi con gelosia, le cose grandi che abbiamo ricevuto dal passato.
Il valore che vogliamo gelosamente custodire, della seconda parte della Costituzione — la prima non è in discussione — è la forma di governo parlamentare. In fondo questo è anche il filo rosso che segna, in materia costituzionale, l'azione del centrosinistra italiano, dall'Ulivo fino al Pd. Abbiamo sempre difeso, qualche volta anche con durezza, in particolare nello scontro con il centrodestra, la forma di governo parlamentare che i costituenti ci hanno consegnato.
Naturalmente noi sappiamo che ci sono altri sistemi non meno democratici, come il presidenzialismo o il semi-presidenzialismo. Ma noi abbiamo sempre preferito, e lo facciamo anche con la riforma Boschi, la forma di governo parlamentare, quella più tipicamente europea, basata sul principio per il quale il governo ha nella fiducia del parlamento la fonte della sua legittimità costituzionale.
E tuttavia, custodire le conquiste del passato non basta. Non meno essenziale è sforzarsi di leggere i segni dei tempi, confrontarsi con le cose nuove che questo nostro tempo ci propone, a cominciare dalla crescente rivendicazione, da parte dei cittadini, di un ruolo da protagonisti della scelta di chi li governa. I cittadini vogliono essere loro a deciderlo e tollerano sempre meno di delegare questa potestà ad una qualsiasi intermediazione, che viene considerata un
inaccettabile diaframma frapposto alla sovranità popolare.
La riforma in discussione si propone di sciogliere questa
contraddizione, perché per un verso custodisce la forma di governo parlamentare, atteso che il Presidente del Consiglio che avremo con la riforma avrà comunque bisogno della fiducia della Camera e non avrà nessun potere nuovo rispetto a quello che la Costituzione oggi gli assegna. Nello stesso tempo, il combinato disposto di riforma del bicameralismo (quindi il superamento della necessità che anche il Senato dia la fiducia) e legge elettorale maggioritaria (l'Italicum, che determina il formarsi nel voto di una maggioranza certa) consentirà ai cittadini di essere loro i protagonisti della
legittimazione del governo.
La scelta di questa sintesi, di questa mediazione, di questo
compromesso, tra valori democratici entrambi fondamentali (la centralità del Parlamento e la legittimazione popolare del governo) non solo non determina alcuna torsione autoritaria della nostra democrazia, ma le consente, al contrario, di aderire appieno al modello cosiddetto neo-parlamentare, di gran lunga prevalente in Europa.
Lo stesso compromesso l'abbiamo applicato anche alla fin troppo discussa questione delle modalità di elezione dei senatori. Attraverso un dibattito a tratti aspro all'interno del Pd, nel quale abbiamo però saputo ascoltarci a vicenda e imparare qualcosa gli uni dagli altri, siamo arrivati anche su questo tema ad un compromesso virtuoso.
Per un verso abbiamo scelto un preciso modello di Senato, quello previsto dal programma dell'Ulivo del 1995: camera di
rappresentanza delle istituzioni territoriali. Se vuole esercitare
questa funzione e portare il legislatore regionale ad un confronto diretto in Parlamento con il legislatore nazionale, il nuovo Senato deve essere composto da consiglieri regionali e sindaci ed eletto dai consigli regionali. Questa è la verità interna della proposta Boschi.
Una verità che è stata giustamente difesa e che si è ormai
definitivamente affermata.
Epperò, una parte dei nostri colleghi ha posto un problema non meno vero: attenzione a non risolvere la questione della rappresentanza parlamentare delle istituzioni territoriali, attraverso una mediazione tutta interna alle istituzioni stesse, che escluda o per lo meno appaia escludere i cittadini. Ecco allora il compromesso che è stato trovato. Come, con la riforma, il governo e il Presidente del Consiglio non saranno eletti direttamente dal popolo, ma avranno una legittimazione chiara attraverso un sistema che produce governabilità
perché produce una maggioranza, altrettanto i senatori non saranno eletti direttamente dai cittadini, saranno eletti dai Consigli
regionali, ma attraverso un sistema che darà loro una chiara
legittimazione popolare. I senatori avranno quindi dietro di sé due legittimazioni insieme, quella del popolo che li ha scelti e quella del Consiglio regionale che li ha eletti. Se a tutto questo aggiungiamo che con questa riforma riduciamo il corpo dei parlamentari nazionali da 950 a 630 e consegniamo così al paese una politica più forte e più leggera, penso che possiamo rivendicare a buon diritto il valore storico di questo passaggio riformatore. 

1 commenti all'articolo - torna indietro
inviato da frutteto2015 il 04 October 2015 19:08
Mi sembra una interpretazione light del concetto di rappresentanza dire che i parlamentari nazionali scendano a 630(se non è un errore di stampa) Il senato non è una istituzione politica di rango nazionale? I senatori,esattamente come i deputati della Camera (vedi art.67) sono forse soggetti a vincolo di mandato?Sono tutti parlamentari nazionali o no?

(verrà moderato):

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