Jul
17
2014
Il mio intervento in Aula sulla riforma del Senato

TONINI (PD). Signora Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi senatori, a costo di apparire ingenuo vorrei dire che l'elemento positivo, il dato fortemente positivo che emerge da questo lungo e certamente approfondito dibattito è che in quest'Aula tutti si sono dichiarati a favore delle riforme. Nessuno ha detto di essere contrario. Nessuno ha detto che bisogna difendere lo status quo, l'attuale bicameralismo.

E tuttavia da molte parti, tra coloro che più convintamente e vivacemente si oppongono al testo al nostro esame - testo frutto dell'iniziativa del Governo ma profondamente modificato, e io dico in meglio, decisamente in meglio, in Commissione, quindi in Parlamento, in Senato - si sono avanzate obiezioni di metodo. È giusto fare le riforme, ma non è così che si fanno, non è così che si riforma la Costituzione. Non ho onestamente capito, a costo anche qui di apparire ingenuo, come i colleghi pensino che si possano fare le riforme, come si possa modificare la Costituzione.

A mia conoscenza si possono seguire due modalità, due procedure. Una, seguita in moltissimi tentativi, ripetuti invano negli ultimi decenni, dal 1983 ad oggi, quindi da trent'anni, è di intervenire sull'articolo 138 della Costituzione prevedendo delle deroghe, istituendo una Commissione ad hoc per elaborare un testo di riforma, una Commissione bicamerale. Vi sono state le Commissioni Bozzi, Iotti - De Mita, D'Alema. Il Governo Letta aveva deciso di intraprendere questa strada con il ministro Quagliariello che in quest'Aula era venuto a spiegare un itinerario previsto dal Governo che il Parlamento aveva accettato nel dare la fiducia al Governo Letta.

Quindi, si prevedeva un percorso di deroga all'articolo 138 della Costituzione, la costituzione di una Commissione bicamerale redigente, che avrebbe dovuto elaborare un testo da sottoporre al voto delle due Assemblee, e poi un referendum da tenere obbligatoriamente, qualunque fosse il quorum con cui la riforma fosse stata approvato dal Parlamento. Questa procedura di deroga all'articolo 138 è stata ferocemente contestata, a mio modo di vedere in modo del tutto esasperato, nei toni e nei contenuti, perché si trattava appunto di una deroga all'articolo 138 costruita in Parlamento, attraverso l'articolo 138, come è stato fatto tante altre volte nella storia del nostro Paese. Si è sentito parlare di attentato alla Costituzione, poi questa procedura è stata abbandonata, perché il ritrarsi di Forza Italia dal tavolo delle riforme ha fatto venir meno la maggioranza dei due terzi, e francamente sarebbe stato senza senso andare al referendum su una questione di procedura. Quindi siamo tornati all'articolo 138 e al più pieno e rigoroso rispetto della procedura di revisione della Costituzione, prevista dalla Costituzione stessa.

Non è stata fatta alcuna forzatura sui tempi, tant'è vero che sono mesi che stiamo lavorando in Commissione e abbiamo cominciato a lavorare in Assemblea, ormai da diversi giorni, sulle proposte avanzate dal Governo. Ci sono state settimane e mesi di lavoro in Commissione, si sono svolte audizioni, in cui sono state sentite personalità e studiosi di tutti gli orientamenti ed è stata raccolta una messe infinita di contributi e di approfondimenti. Adesso, presumibilmente, lavoreremo per alcune settimane in Assemblea e sono al nostro esame migliaia di emendamenti. Penso di non essere irriverente se arrivo a dire che nemmeno l'Assemblea costituente ha dedicato un tempo come quello che stiamo dedicando all'esame di un aspetto circoscritto della Costituzione. Non stiamo riscrivendo la Costituzione: la prima Parte è fuori dalla nostra attenzione, non si parla di forma di Governo non si parla di giustizia: si parla di riforma del bicameralismo e del Titolo V della Parte II. Credo che la Costituente non abbia dedicato alla questione del bicameralismo (in particolare a quella del Senato) e alla questione del Titolo V il tempo che vi ha dedicato questo ramo del Parlamento, in questa prima lettura. Poi ci saranno l'esame della Camera dei deputati e gli altri passaggi.

Sarò poco attrezzato intellettualmente, ma onestamente non capisco dove sia l'obiezione. Ho capito da alcune colleghi che l'anomalia sarebbe l'iniziativa del Governo. Sarebbe questo il vulnus: ho sentito usare questa parola, così di moda. Ogni volta che bisogna criticare una scelta, legittimamente, sul piano politico, si parla di vulnus. Questa povera Costituzione è ormai come san Sebastiano: a forza di vulnus (anzi, divulnera) è bucherellata da tutte le parti. Questo vulnus deriverebbe dunque dal fatto che il Governo ha osato avanzare una proposta.

Ma dove sta scritto, colleghi, che il Governo non ha potere di iniziativa legislativa in materia di revisione costituzionale? Ho sentito anche colleghi del mio partito, peraltro persone di lunga esperienza parlamentare, che dicono una sciocchezza del genere, che non sta né in cielo né in terra. Il Governo ha diritto di iniziativa parlamentare, come ogni singolo parlamentare (tanto che in quel "librone" che contiene i disegni di legge presentati, ce ne sono decine proposti da singoli parlamentari), così come 50.000 cittadini (forse cambieremo questo numero) e come le Regioni (ci sono infatti anche testi proposti dalle Regioni).

Il Governo ha il pieno diritto di iniziativa legislativa, anche in materia costituzionale. Se così non fosse, la Costituzione lo vieterebbe e, se la Costituzione lo avesse vietato, nessuno si sarebbe sognato di presentare un disegno di legge del Governo. Invece la Costituzione lo prevede e, se lo prevede, è legittimo. Si può opinare sulla opportunità di farlo in questo o in quel passaggio storico, ma non si può certo aggredire la proposta di riforma perché c'è stata un'iniziativa del Governo. Questo lo trovo francamente incomprensibile. Ripeto, sarò limitato, ma onestamente, nonostante mi sforzi e mi sia sforzato di capire le ragioni dei colleghi, non ho capito.

Del resto, abbiamo avuto alle spalle, recentemente, un passaggio storico nel nostro Paese nel quale si decise altrimenti (ripeto, sul piano dell'opportunità politica), quando, nato il Governo Monti, si decise di distinguere nettamente i piani: al Governo l'iniziativa sulle riforme economiche e sociali, al Parlamento l'esclusiva responsabilità delle riforme costituzionali. Purtroppo, abbiamo visto come è andata a finire: è andata a finire che le riforme economiche e sociali sono state attuate - poi ognuno potrà giudicarle diversamente, io complessivamente le ho giudicate e le giudico assolutamente utili per il Paese - e le riforme costituzionali sono rimaste al palo. Il che ci dice che senza una iniziativa di stimolo da parte del Governo il Parlamento, per come è organizzato oggi (ed ecco una delle ragioni e non l'ultima per cui forse è il caso di riformarlo), da solo non ce la fa, quanto meno non ce l'ha mai fatta. Il ruolo di stimolo, l'impulso da parte del Governo è stato quindi assolutamente opportuno.

C'è stato, è vero, un passaggio critico e sarebbe sciocco ed ipocrita non vederlo: quello dell'adozione del testo base. Dato il fascicolo con tutti i testi, qual era il testo da preferire come testo base? Lì c'è stato un passaggio critico, sul quale naturalmente sono legittimi tutti i giudizi dal punto di vista politico. Personalmente, come ho detto nell'assemblea del Gruppo del Partito Democratico, ero favorevole a che fossero i relatori a presentare una loro proposta, un testo base diverso da quello del Governo, ma stiamo nel mondo dell'opinabile. Anche perché ciò che conta è che il testo che è uscito dalla Commissione e che ora è all'esame di questa Assemblea è - fatemelo dire - un lontano parente del testo che vi era entrato, su proposta, iniziativa e impulso del Governo. Esso è una sintesi, a mio avviso ancora perfettibile, come del resto hanno detto i relatori nelle loro relazioni ad introduzione di questa discussione. È una sintesi certamente ancora perfettibile, nessuno lo nega, ma altrettanto certamente ben riuscita del testo base del Governo, con quell'ordine del giorno Calderoli, che aveva pure riscosso un consenso ampio e maggioritario in Commissione che ha contribuito fortemente alla discussione successiva ed alla elaborazione del testo che oggi è al nostro esame.

Dov'è allora il problema della democrazia? Dove c'è stata la forzatura della democrazia?

Dovremmo evitare, colleghi, di usare sempre l'arma atomica nella nostra discussione. L'arma atomica della illegittimità, del fatto che si stanno forzando e sfondando le regole. Perché usare sempre questi argomenti quando si possono più pianamente usare argomenti razionali che sono più aderenti alla realtà delle cose? Si può dire: «Questo testo non mi piace, trovo che si debbano cambiare i punti a), b), c) e d)»; perché dire che c'è un attentato alla democrazia quando, come ho provato a dire, mi sembra in maniera del tutto piana e non polemica, abbiamo fatto le cose dentro e secondo le regole? E ci mancherebbe altro! Ma chi potrebbe tollerare dentro quest'Aula, a cominciare dal Presidente del Senato, che si violassero in maniera pesante e sistematica le regole? Ci possono essere passaggi politicamente complessi, aspri, ma parliamo di questo. Altrimenti, da soli delegittimiamo il Parlamento che vogliamo difendere e promuovere.

Il lavoro svolto è stato la sintesi migliore tra l'indispensabile - tale si è dimostrata storicamente - funzione di stimolo del Governo e l'imprescindibile funzione del Parlamento, che in questa, come in ogni materia legislativa, ha comunque l'ultima parola.

Per quanto riguarda in particolare il Governo, esso ha avuto il merito - a cominciare dallo stesso Presidente del Consiglio, quando ancora non lo era e quando poi lo è diventato - di allargare di nuovo il tavolo del confronto politico sulle riforme, perché alla crisi del Governo Letta il tavolo delle riforme si era drammaticamente ristretto. Il presidente Renzi allora - già prima come segretario del Partito Democratico - ha riportato al tavolo Forza Italia, con tutte le difficoltà del caso, e adesso sta lavorando, come abbiamo visto più volte in streaming, per tenere al tavolo anche il Movimento 5 Stelle, con un apporto che noi abbiamo giudicato assolutamente positivo. Stiamo quindi lavorando per questo, cioè per fare una riforma che sia la più largamente condivisa.

Abbiamo il testo elaborato dalla Commissione, grazie al lavoro straordinario fatto dai relatori, a cominciare dalla presidente Finocchiaro, e adesso la decisione è nostra, è dell'Assemblea del Senato, che deciderà in modo sovrano, com'è nelle cose.

C'è poi l'altra obiezione, secondo la quale tutto sarebbe stato fatto di fretta e in maniera superficiale. Si dice che si sta legiferando male, perché stiamo procedendo in fretta - e la gatta frettolosa fece i gattini ciechi - e stiamo facendo una riforma sballata, andando di corsa per inseguire non si sa bene quale scadenza elettorale, senza la necessaria ponderazione, che impone prudenza di fronte a temi così complessi. Anche di fronte a questa obiezione, a costo di apparire ingenuo, sono sorpreso per due ragioni.

Innanzitutto, come abbiamo già detto, sono mesi che si sta lavorando alla riforma e dal dibattito che si è svolto finora ho tratto la considerazione - i colleghi non me ne vorranno - che a molti sfugge il senso dell'urgenza che deriva dalla vera e propria emergenza politica ed istituzionale nella quale versa il Paese.

Ho sentito dire da alcuni colleghi che non è vero che l'Europa ci chiede la riforma del Senato: ma dove vivete, cari colleghi? Il problema non è quello che l'Europa ci chiede, a parte il fatto che basterebbe leggere un po' la stampa e vedere che ogni giorno c'è qualche intervista su questo. L'altro giorno c'era un'intervista del presidente Weber, capogruppo del Partito popolare europeo presso il Parlamento europeo - che non è certo sospettabile di simpatia nei confronti del presidente Renzi, con cui si è anche un po' preso, per così dire, a Strasburgo - il quale ha detto di essere certo che l'Italia procederà sulla strada delle riforme e la prima fondamentale riforma è quella costituzionale, del Senato. (Commenti dei senatori Marton e Vacciano). Ma non è per questo che ovviamente dobbiamo farla.

Ma perché i tedeschi, come tutti gli altri nostri partner europei, sono preoccupati di questa situazione? (Il senatore Airola si allontana dall'Aula). Perché noi, cari colleghi - non c'è bisogno di uscire dall'Aula, perché non c'è bisogno di protestare (Commenti del senatore Airola) - siamo l'unico Paese europeo che unisce alla drammatica crisi economica e sociale che stiamo vivendo, un'altrettanto drammatica crisi politico-istituzionale. Non c'è un altro Paese messo come il nostro sotto questo profilo. Abbiamo avuto le elezioni nel 2013, che non hanno prodotto una chiara maggioranza di Governo; abbiamo un Presidente della Repubblica costretto, suo malgrado, alla soglia dei novant'anni ad un secondo mandato, perché il Parlamento non è stato in grado di trovare una soluzione diversa.

Abbiamo il leader del secondo partito della principale coalizione, alternativa a quella del Partito Democratico... Credo di avere venti minuti, Presidente.

 

Dicevo che il leader di questa coalizione alternativa è in una condizione di semilibertà. Abbiamo una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte, che ne ha scritta un'altra che non garantirebbe la governabilità del Paese. Siamo al quarto Governo in tre anni. In tre anni ci sono stati quattro Governi e noi parliamo di deriva autoritaria e di regime che si starebbe instaurando in Italia, perché - io dico miracolosamente - il Partito Democratico è riuscito alle elezioni europee ad ottenere il risultato sicuramente straordinario del 40 per cento dei voti, ma che in nulla modifica la precarietà degli equilibri nei quali viviamo?

Oggi gli italiani sono aggrappati a noi e a Renzi, perché a occhio gli siamo sembrati l'unica cosa che sta a galla e che può tenere a galla il Paese, ma è in queste condizioni che stiamo vivendo e adesso pensiamo che si possa dire: «non c'è l'urgenza, prendiamoci tutto il tempo necessario»?. C'è un'urgenza ed è drammatica.

La verità è che dobbiamo fare presto e dobbiamo fare bene, e il modo migliore per fare presto e bene è essere consapevoli che siamo dei nani sulle spalle dei giganti. I giganti sono quelli - come hanno già detto altri colleghi - che vengono dal nostro passato. Noi abbiamo alle spalle un'elaborazione approfondita: per decenni si è lavorato alle riforme costituzionali ed in particolare alla riforma del bicameralismo. Vorrei ricordare - non ho il tempo di leggerla - una relazione dell'onorevole Mino Martinazzoli, che è stato citato da altri colleghi in questo dibattito. Nel 1988 ricordo un seminario del Gruppo parlamentare della DC della Camera, in cui ci si poneva il problema della riforma del Senato e si diceva, in sostanza, che alla differenziazione delle funzioni non può che corrispondere la differenziazione delle modalità di elezione. Già allora, nel 1988, ci si poneva questo problema (Ruffilli, che pochi mesi dopo avrebbe trovato la morte, fu il protagonista assoluto di quel passaggio) e Martinazzoli diceva: dobbiamo fare presto, perché incalza la delegittimazione della politica da parte dei cittadini. Era il 1988; poche settimane dopo nasceva la mia prima figlia che l'anno scorso ha votato per la prima volta al Senato. Quindi, stiamo facendo talmente presto che una bambina nata allora è riuscita a diventare elettrice del Senato. Per favore non rischiamo il ridicolo.

E non è vero che questa riforma che stiamo facendo non abbia radici profonde...

 

È stata già citata - e con questo voglio chiudere - la tesi n. 4 dell'Ulivo, certamente figlia di quella elaborazione che ha in Ruffilli il punto più alto, che diceva chiaramente: «Il Senato dovrà essere trasformato in una Camera delle Regioni, composta da esponenti delle istituzioni regionali che conservino le cariche locali e possano quindi esprimere il punto di vista e le esigenze della regione di provenienza. Il numero dei senatori (che devono essere e restare esponenti delle istituzioni regionali) dipenderà dalla popolazione delle Regioni stesse, con correttivi idonei a garantire le Regioni più piccole. (...) I poteri della Camera delle Regioni saranno diversi da quelli dell'attuale Senato, che oggi semplicemente duplica quelli della Camera dei deputati. Alla Camera dei deputati sarà riservato il voto di fiducia al Governo. Il potere legislativo verrà esercitato dalla Camera delle Regioni per la deliberazione delle sole leggi che interessano le Regioni, oltre alle leggi costituzionali».

È chiaro che questo manifesto non ha nessuna funzione normativa per nessuno di noi; è chiaro che non ha nessun potere normativo, ma io lo cito solo per dire che di tutto possiamo di essere accusati tranne di voler fare una riforma frettolosa e senza radici. Le radici di questa riforma ci sono, sono profonde e affondano nella storia migliore della cultura democratica del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Di Biagio).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Casaletto. Ne ha facoltà.

1 commenti all'articolo - torna indietro
inviato da Giovanni il 23 July 2014 22:21
Gent.mo senatore Tonini. L'ho sentito su Radio Radicale. Condivido dall'A alla Z il suo discorso.
Andate avanti con determinazione.
Cordialità. Giovanni Putoto, Padova

(verrà moderato):

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