Apr
09
2014
Relazione di minoranza della Commissione Igiene e sanità sul Disegno di Legge: Norme in materia di procreazione medicalmente assistita (2003)

Onorevoli Senatori. – La necessita` e l’ur­genza di un intervento legislativo in materia di procreazione medicalmente assistita e`, in quest’Aula, largamente condivisa.

Diffusa, anche se non unanime, e` la preoc­cupazione suscitata da quello che Ju¨rgen Ha­bermas ha definito «lo scivolamento in una genetica liberale, vale a dire una genetica re­golata dalla legge della domanda e dell’of­ferta». Parimenti condivisa e` la tesi del grande filosofo tedesco, per la quale i limiti del possibile ricorso agli strumenti della ge­netica debbano essere definiti «in maniera autonoma, a partire da considerazioni norma­tive che rientrano nella formazione democra­tica della volonta`» e non «in maniera arbitra­ria, a partire da preferenze soggettive che si soddisfano attraverso il mercato».

L’ingegneria genetica ha infatti a che fare con la natura umana e col complesso rap­porto tra natura e cultura: un rapporto che in­cide sull’identita` e il destino, non solo di cia­scuna persona, ma anche, radicalmente, del genere umano come tale. Si tratta, come e` evidente, di un ambito della decisione che non puo` essere affidato alla casualita` del mercato, ma deve vedere il responsabile pro­tagonismo della politica. Certo, una politica consapevole dei propri limiti, una politica che non ignori che la formazione democra­tica della volonta` e`, in un campo come quello bioetico, operazione particolarmente complessa.

Come scrive Ulrich Beck, il sociologo che ha descritto la nostra come la societa` del ri­schio, «le decisioni che abbiamo preso in passato in materia di energia nucleare e quelle attuali in merito allo sfruttamento del­l’ingegneria e della manipolazione genetica, della nanotecnologia, dell’informatica e cos`ı via scatenano conseguenze imprevedibili, in­controllabili e addirittura incomunicabili, che minacciano la vita sul nostro pianeta [...] la nostra stessa lingua non e` in grado di infor­mare le generazioni future sui pericoli che abbiamo disseminato nel mondo a causa dello sfruttamento di alcune tecnologie».

Dunque noi viviamo nella paradossale condizione per la quale, da un lato, la radica-lita` dei mutamenti che il progresso scienti­fico sta producendo nella biosfera reclama l’intervento normativo della politica, che non puo` delegare decisioni strategiche sul fu­turo del genere umano alla interazione spon­tanea tra la scienza e il mercato; ma, dall’al­tro, proprio la complessita` e la potenza del­l’interazione tra la logica della scoperta scientifica e il calcolo degli interessi econo­mici scopre la politica in una condizione di inedita debolezza: dalla quale essa puo` spe­rare di uscire solo assumendo un punto di vi­sta, almeno tendenzialmente "globale" e quanto meno formulato su una scala assai piu` vasta di quella meramente nazionale; e solo ponendosi in atteggiamento di dialogo e di ascolto con la mobile costellazione delle molteplici sensibilita` culturali e morali pre­senti nelle societa` contemporanee.

Entrambe queste attenzioni sono mancate, in questi anni, alla politica italiana nel deli­cato settore bioetico. Non a caso, l’Italia e` ancora uno dei pochi Paesi europei privi di una organica disciplina in materia di procrea­zione medicalmente assistita.

Se nel nostro Paese l’esercizio dei nuovi margini decisionali in campo genetico e` an­cora affidato all’arbitrio delle preferenze soggettive soddisfatte attraverso il mercato anziche´ all’autonomia della formazione de­mocratica della volonta`, e` anche perche´ la complessita` di questa materia deve fare i conti non solo con la realta` di un ampio plu­ralismo di visioni etiche, ma anche con la mancanza di una consolidata tradizione di convivenza dialogica tra di esse.

E un intervento legislativo che voglia ri­sultare possibile ed efficace, in un ambito delicato e sensibile come quello che con­cerne la sfera della trasmissione della vita umana, non puo` scaturire dall’imporsi di una visione etica su altre, ma deve emergere dalla ricerca onesta e coraggiosa di una me­diazione «alta», nella quale si possa ricono­scere, almeno parzialmente, il piu` ampio spettro di posizioni e di visioni culturali e morali.

Una mediazione alta e` innanzitutto una mediazione consapevole della portata globale delle questioni in gioco e dunque della ne-cessita` di stabilire una sintonia comunicativa, certamente attiva e non solo passiva, con gli indirizzi emergenti almeno nei Paesi a noi piu` vicini, a cominciare da quelli europei. Nessuna soluzione politico-legislativa sara` tale se adottata in solitudine, o addirittura in contraddizione con l’orientamento preva­lente in Europa.

Una mediazione alta presuppone altres`ı l’accettazione da parte di tutti della coessen-zialita` di liberta` e responsabilita`. Non puo` esserci vera liberta` se non nella disponibilita` a rispondere di essa; cos`ı come non c’e` ri­sposta etica se non nell’esercizio della li-berta`. A questo binomio liberta`-responsabi-lita` deve ispirarsi la relazione comunicativa tra la politica, nella sua cogente dimensione legislativa, e il mondo vitale degli individui, delle coppie, delle famiglie. Nella consape­volezza che la politica vedrebbe fallire il suo compito se i mondi vitali dovessero av­vertirla non come esercizio associato di un piu` alto livello di autonomia, ma come impo­sizione arbitraria, compressione irragionevole di diritti che meglio potrebbero essere eserci­tati in solitudine, sul mercato.


Una mediazione alta presuppone quindi lo sforzo di distinguere, sulla base dell’afferma­zione del limite della politica, tra le questioni e gli aspetti che e` possibile e anzi necessario normare per via legislativa e quelli che e` preferibile affidare alla azione regolativa che deriva, per via dialogica, dalla matura­zione di una coscienza etica collettiva.

Una mediazione alta implica pertanto an­che la consapevolezza che nessuna visione etica puo` pretendere di riconoscersi appieno nella definizione legislativa, la quale non puo` peraltro pensarsi come eticamente neu­trale o indifferente, ma deve sottomettersi al principio di saggezza secondo il quale gli strumenti giuridici, proprio in quanto piu` forti e cogenti, devono essere utilizzati, in una sfera particolarmente sensibile come quella bioetica (nella quale il diritto ha a che fare da un lato con la sfera piu` intima delle persone, dall’altro con la liberta` della ricerca scientifica e le professionalita` in campo medico), con una circospezione, una prudenza, una delicatezza, del tutto speciali.

In particolare, la presenza di uno scarto in­superabile tra etica e diritto, assieme alla ne-cessita` di evitare una distonia troppo acuta tra la norma di legge e il senso morale co­mune, suggerisce di procedere, nel legiferare, ricercando il punto di equilibrio sostenibile tra accompagnamento e orientamento, da parte della legislazione, dell’ethos collettivo.

Questa visione puo` ispirare una normativa che definisca come illeciti comportamenti estremi, frutto di una visione per comune sentire colta nella sua dimensione radical­mente individualistica, regolando invece, come non illeciti, anche comportamenti rien­tranti in una sfera di problematicita` etica e rispetto ai quali e` preferibile la via della norma di indirizzo, rispetto a quella perento­ria. In questo modo, la produzione legislativa puo` favorire una evoluzione, nel senso del­l’esercizio consapevole e responsabile della liberta`, da parte del costume collettivo, senza porre la legge positiva a illusorio strumento di imposizione di una legge morale non av­vertita come tale da strati ampi della societa`.

La larga condivisione, in materie come questa, della soluzione normativa innanzi­tutto nella comunita` scientifica e tra gli ope­ratori sanitari e` del resto fattore di successo non secondario della legge stessa, sia sotto il profilo della sua efficacia tecnica (ad esempio la praticabilita` del suo impianto san-zionatorio), sia sotto il profilo della sua ca-pacita` di influenzare positivamente il co­stume morale collettivo.

L’intervento legislativo in campo bioetico deve pertanto ricercare, senza mai perdere il riferimento al piu` ampio quadro legislativo almeno europeo, un punto di incontro tra le diverse visioni e un punto di equilibrio nella tutela di valori talora in relazione di reci­proca contraddizione: il diritto alla salute, che include anche il diritto alla cura della sterilita`, insieme al diritto-dovere di preve­nire, ove possibile, la trasmissione di malat­tie per via genetica; il riconoscimento della responsabile liberta` della coppia come sog­getto della procreazione; il principio di pre­cauzione circa gli effetti biologici, psicolo­gici e sociali del ricorso alle tecniche di fe­condazione assistita; il riconoscimento non della «personalita` giuridica», che e` forzatura irragionevole, ma certamente della «dignita` umana» dell’embrione; la tutela dei diritti del nascituro e del nato da procreazione assi­stita.

La domanda che dobbiamo porci e` a que­sto punto se il testo licenziato dalla Camera dei deputati, e ora sottoposto alla valutazione dell’Aula del Senato, risponda pienamente, o comunque in modo soddisfacente, alla com-plessita` delle esigenze fin qui esposte, o se invece esso richieda, da parte del Senato, un intervento emendativo.

La 12ª Commissione ha rivolto questa do­manda, un anno fa, ad una lunga lista di in­terlocutori, le cui valutazioni ha ritenuto me­ritevole ascoltare, per la loro autorevolezza, vuoi nel campo scientifico e medico, vuoi in   quello   giuridico   o   filosofico,   vuoi   in quello dell’esperienza vissuta come persone, coppie, famiglie, bisognose dell’assistenza medica per la procreazione.

L’attenzione e la disponibilita` con le quali la Commissione e il suo Presidente, il sena­tore Tomassini, hanno svolto tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003 questo intenso e fitto programma di audizioni, hanno onorato l’alta funzione costituzionale del Senato della Repubblica.

La risposta di gran lunga prevalente, emersa dalle numerose e accurate audizioni, nella maggior parte dei casi affidata a docu­menti scritti conservati agli atti della Com­missione, oltre che ad esposizioni orali e al dialogo diretto con i senatori, e` stata un giu­dizio variamente critico nei confronti del te­sto in esame e la richiesta di numerose mo­difiche, alcune delle quali considerate indi­spensabili.

Cinque sono in particolare i punti critici del testo in esame, come emerso dalle audi­zioni della 12ª Commissione.

Il primo punto critico e` il divieto di uti­lizzo delle tecniche di fecondazione medical­mente assistita per la prevenzione delle ma­lattie trasmesse per via genetica. Si tratta di una pratica assai diffusa nel nostro Paese – in particolare in Sardegna, dove la percen­tuale di portatori sani di talassemia e` partico­larmente alta (13 per cento, pari a 250.000 persone, in Italia i portatori sani sono oltre 3 milioni) – e che consiste nella produzione in vitro di piu` embrioni, mediante l’utilizzo di materiale genetico interno alla coppia ma­lata o portatrice sana della malattia genetica, e nell’impianto nell’utero della madre di un embrione sano, selezionato attraverso la dia­gnosi preimpianto. Si tratta, come e` evidente, di una tecnica che comporta distruzione di embrioni e come tale e` eticamente contro­versa. E tuttavia, non e` possibile ignorare che il divieto di ricorrere alla fecondazione assistita con diagnosi preimpianto e selezione embrionaria finirebbe per indurre le coppie affette o portatrici sane di malattie genetiche o a rivolgersi a strutture di altri Paesi, o a fare ricorso all’aborto terapeutico.

Nella memoria consegnata alla 12ª Com­missione, il presidente regionale della «Asso­ciazione sarda talassemici», Giorgio Vargiu, ricorda che «dal 1977, anno della prima dia­gnosi prenatale di b-talassemia in Europa (eseguita a Cagliari), ad oggi, sono state ese­guite oltre 6.000 diagnosi prenatali per b-ta-lassemia e purtroppo di queste ben 1.502 (il 25 per cento) hanno dato esito di feto malato e tutti, eccetto 18, sono stati abortiti terapeu­ticamente dalle coppie su loro libera scelta dopo la decima settimana di gravidanza».

Proprio per ridurre il ricorso all’aborto, come ha relazionato alla 12ª Commissione il dottor Giovanni Monni, dell’Ospedale re­gionale per le microcitemie di Cagliari, cen­tro di riferimento dell’Organizzazione Mon­diale della Sanita` per la prevenzione, dia­gnosi e terapia delle anemie ereditarie, sono state sperimentate con esiti incoraggianti le tecniche di fecondazione assistita con dia­gnosi preimpianto, tecniche che il testo di legge, come approvato dalla Camera dei de­putati, renderebbe illegali. «L’approvazione di tale legge – scrive il dottor Monni nella nota consegnata alla 12ª Commissione – li­miterebbe la liberta` della coppia e la possibi-lita` di usufruire di metodiche diagnostiche innovative e precoci per individuare gli em­brioni sani evitando l’aborto terapeutico».

A sua volta, il professor Carlo Flamigni, nella nota trasmessa dopo l’audizione alla 12ª Commissione, conclude che con il testo approvato alla Camera, «si e` [...] scelto di bloccare la strada della diagnosi genetica preimpiantatoria, sapendo che comunque esi­ste sempre quella della diagnosi prenatale, cioe` dell’aborto». Nel mondo, ricorda Flami-gni, solo quattro Paesi – Argentina, Austria, Svizzera e Taiwan – proibiscono la diagnosi genetica preimpiantatoria: «sembra dunque [...] – conclude Flamigni – che la maggior parte delle persone distingua, dal punto di vi­sta morale, tra il dover interrompere una gra­vidanza dopo aver diagnosticato la presenza,nel feto, di una grave malattia genetica, e la possibilita` di non trasferire un embrione af­fetto dalla stessa malattia».

Naturalmente, la posizione di Flamigni, che sembra considerare eticamente preferi­bile la soppressione di embrioni malati prima dell’impianto rispetto all’aborto terapeutico che interrompe l’esistenza di feti dopo la de­cima settimana di gravidanza, puo` non essere condivisa da chi consideri sacra e inviolabile l’esistenza dell’embrione dal momento del concepimento.

Il grande filosofo Jacques Maritain scri­veva nel 1967 che «uccidere un essere che possiede virtualmente (realmente-virtual-mente) la natura umana ed e` fatto per essere uomo, e` evidentemente lo stesso delitto che uccidere un uomo». Ma cio` non impediva a Maritain di cogliere la dinamica evolutiva tra l’embrione, il feto e il nato: «Ammettere che il feto umano, dall’istante della sua con­cezione, riceva l’anima intellettiva – scrive nello stesso testo – quando la materia non e` ancora in nulla disposta a questo riguardo, e` ai miei occhi un’assurdita` filosofica. E` tanto assurdo quanto chiamare bebe` un ovulo fecondato. Significa misconoscere completa­mente il movimento evolutivo, che viene in realta` considerato un semplice movimento di aumento o di crescita».

Il testo in esame sembra non solo misco­noscere, ma addirittura capovolgere il movi­mento evolutivo di cui parla Maritain: lo fa attraverso la paradossale previsione di un di­vieto assoluto di soppressione dell’embrione prodotto in vitro, formulata contestualmente alla riaffermazione della liceita` dell’aborto.

Il comma 1 dell’articolo 14 recita infatti te-` stualmente: «E vietata la crioconservazion e la soppressione degli embrioni, fermo re­stando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194».

Sulla base di questo testo, nell’ordina­mento giuridico italiano l’embrione sarebbe «persona» in provetta e «cosa» nell’utero materno; sacro e inviolabile allo stadio di ovulo fecondato visibile solo al microscopio e privo dell’ambiente materno che gli e` indi­spensabile per venire al mondo; e invece in bal`ıa del principio di autodeterminazione della donna una volta raggiunto lo stadio fe­tale. Si tratta di un articolo che e` impossibile definire sia laico che cattolico, sia di destra che di sinistra. Appare piuttosto come una norma illogica, cos`ı come e` illogico conside­rare l’aborto al terzo mese un male minore rispetto alla selezione embrionaria precoce.

Una norma illogica, risultato di un com­promesso sbagliato, perche´ frutto non della ricerca di un punto di convergenza realistico tra visioni etiche e culturali diverse, ma piut­tosto della mera giustapposizione di norme contraddittorie tra loro, perche´ espressione di visioni opposte.

L’obiettivo «ideologico» del testo in esame e` evidente al comma 1 dell’articolo 1, ove si afferma che la presente legge «assi­cura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, com­preso il concepito». Il concepito diviene sog­getto di diritti, quindi – almeno implicita­mente – persona. Una forzatura ideologica, tutt’altro che necessaria ai fini di una regola­mentazione anche rigorosa, perfino restrit­tiva, della procreazione medicalmente assi­stita. Una forzatura alla quale sarebbe di gran lunga preferibile sostituire il doveroso richiamo, proposto in audizione alla 12ª Commissione dal costituzionalista Augusto Barbera, alla «dignita` dell’embrione, non quale persona ma quale "progetto di vita"».

Una forzatura, peraltro, quella dell’articolo l del testo in esame, che parve voler mettere in dubbio la legge sull’aborto, con grave ri­schio per la tenuta del consenso in Parla­mento e nel Paese. La forzatura e` stata allora «sterilizzata», nel corso dell’iter alla Ca­mera, con quel «fermo restando quanto pre­visto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194». Una sorta di «qui lo dico e qui lo nego», che produce il paradosso della tutela decre­scente tra lo stadio embrionale in vitro e quello fetale in utero.

E produce anche un secondo punto critico del testo, una vera e propria aporia, evidenziata come tale dallo stesso parere della 12ª Commissione del Senato. Al comma 3 del­l’articolo 6, il testo prevede che la volonta` di accedere alle tecniche di fecondazione as­sistita possa essere revocata da ciascuno dei due soggetti della coppia solo «fino al mo­mento della fecondazione dell’ovulo».

La ratio della norma e` chiara, coerente col divieto di soppressione e anche di criocon­servazione dell’embrione e conseguente al­l’implicito riconoscimento dello status di persona all’embrione stesso. E tuttavia la norma, oltre ad essere in contrasto con la re­cente Convenzione di Oviedo, ratificata ai sensi della legge 28 marzo 2001, n. 145, che all’articolo 5 esplicitamente afferma che «la persona interessata (ad un tratta­mento sanitario) puo`, in qualsiasi momento, ritirare liberamente il proprio consenso», ri­schia di essere inapplicabile, nel caso in cui la donna effettivamente revochi il suo con­senso all’impianto in utero dell’ovulo fecon­dato. In quel caso, il medico non potrebbe ne´ sopprimere ne´ congelare l’embrione, pena l’incorrere in pesanti sanzioni; ma non po­trebbe neppure sottoporre la donna a tratta­mento sanitario obbligatorio, esplicitamente vietato dall’articolo 32 della Costituzione.

Come ha scritto nella nota consegnata du­rante l’audizione alla 12ª Commissione il professor Stefano Rodota`, interpretando que­sta norma alla luce di quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 14 che prevede il di­ritto degli interessati di essere informati «sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero», si dovrebbe con­cludere «che la donna [...] sarebbe obbligata ad accettare il trasferimento nell’utero anche nel caso in cui vi sarebbe certezza della na­scita di una persona con gravi malforma­zioni. [...] A questo obbligo, tuttavia, si ac­compagnerebbe poi il diritto di ricorrere alla interruzione della gravidanza, dando cos`ı vita ad una situazione giuridicamente ed eticamente paradossale e preoccupante».

Un terzo punto critico, denunciato da quasi  tutti  i  medici  intervenuti  nel  corso delle audizioni in 12ª Commissione, e` quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 14, per il quale le tecniche di fecondazione assistita «non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, co­munque non superiore a tre». Il fine dichia­rato di questa norma e` quello di evitare la produzione di embrioni cosiddetti «soprannu­merari» e quindi di rimuovere alla radice la controversa questione, di indubbia problema-ticita` etica, sulla destinazione degli stessi.

Tuttavia, a giudizio pressoche´ unanime de­gli auditi dalla 12ª Commissione, tra i quali il dottor Luca Gianaroli, direttore scientifico della Societa` italiana di studi di medicina della riproduzione e membro della task-force dell’Organizzazione Mondiale della Sanita` per la medicina della riproduzione, con que­sta norma «il legislatore italiano imporrebbe al medico l’obbligo di utilizzare una metodo­logia non solo non ottimale, ma addirittura tale da essere contraria alla deontologia e al­l’etica medica». Se venisse introdotto, come proposto dal testo in esame, il divieto di pro­durre embrioni potenzialmente soprannume­rari e l’obbligo di impiantare subito tutti e tre gli embrioni prodotti, afferma ancora il dottor Gianaroli, si avrebbe «la notevole di­minuzione delle percentuali di successo del trattamento» e «in media, ogni donna do­vrebbe triplicare i cicli di procreazione medi­calmente assistita, e quindi i suddetti rischi ovvero disagi, per ottenere le stesse percen­tuali di gravidanza».

Tra i rischi l’iperstimolazione ovarica e, al­l’opposto, la gravidanza plurigemellare con grave pericolo di malformazioni. Tra i disagi, lo stress fisico e psichico, la frustrazione, il tempo perso, la lievitazione dei costi.

«In qualunque altro campo della medicina o della chirurgia – rileva nella sua nota pre­sentata alla 12ª Commissione il Segretario generale della Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia, professor Giuseppe Benagiano – una simile pratica sarebbe pas­sibile di denuncia all’autorita` giudiziaria per quella che tutti ormai chiamiamo in inglese malpractice e che in italiano viene collo­quialmente denominata malasanita`».

Tutto cio`, comunque, avverrebbe «solo in Italia», fa notare il professor Flamigni: «per-che´ in tutti gli altri Paesi il congelamento de­gli embrioni e` consentito (visto che Austria e Germania, che l’avevano proibito, autoriz­zano la crioconservazione degli zigoti allo stadio pre-singamico). Personalmente – os­serva conclusivamente Flamigni - conto molto sulla possibilita` di sostituire il conge­lamento degli embrioni con quello degli ovo­citi: ma questo vuol dire sperimentazione e tempo, e sarebbe stata opportuna una fase di transizione».

Il quarto punto critico e` il divieto assoluto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (comma 3 dell’arti­colo 4), ossia effettuata con materiale gene­tico esterno alla coppia.

La principale motivazione addotta a soste­gno del divieto, quella del diritto del nasci­turo ad un quadro parentale che veda l’iden­tificazione tra la dimensione biologica e quella giuridica della genitorialita`, appare di incerta sostenibilita` giuridica, posto che ri­sulta difficile affermare diritti precedenti l’e­sistenza stessa di un individuo, nonche´ di controversa fondazione filosofica, in ogni caso contraddittoria con il principio del li­mite della politica e del suo principale stru­mento, il diritto. Un limite che non puo` es­sere dilatato fino a penetrare il territorio mi­sterioso delle ragioni che motivano la pro­creazione e che rendono una vita umana de­gna di essere vissuta. L’argomento dell’inte­resse del «concetturo» acquisterebbe senso solo in presenza di dati di fatto che eviden­zino forme di sofferenza o quanto meno di disagio nell’ambito dell’ormai popolosa co-munita` dei nati da fecondazione eterologa. E invece, dopo decenni di ricorso su vasta scala alle pratiche di fecondazione assistita eterologa, nessuna ricerca empirica ha potuto mettere in evidenza danni o anche solo pro­blemi apprezzabili, vuoi di natura fisiologica, vuoi di natura psicologica, a carico dei nati mediante il ricorso a tali tecniche.

Il divieto assoluto, senza eccezione alcuna, in presenza di una larga e legalissima diffu­sione nel mondo delle tecniche di feconda­zione eterologa, rischia di produrre, come ha rilevato Rodota`, «effetti discriminatori, poiche´ al turismo procreativo potranno ricor­rere soltanto coloro i quali dispongono dei necessari mezzi finanziari». Inoltre, osserva sempre Rodota`, «la richiesta di interventi con gameti di donatori, statisticamente docu­mentata puo` far nascere fenomeni di false at­testazioni sulla provenienza dei gameti o ad­dirittura di mercato clandestino», mentre «si rendono precarie le garanzie per i figli, poi-che´ la mancata documentazione sulle caratte­ristiche genetiche dei donatori puo` determi­nare gravi difficolta` per la diagnosi e la cura di eventuali malattie genetiche».

Il quinto punto critico riguarda il rapporto tra tutela dell’embrione e liberta` di ricerca. L’articolo 13, al comma 1, «vieta» qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano; il comma 2 consente la ricerca clinica e spe­rimentale su ciascun embrione umano «a condizione che si perseguano finalita` esclusi­vamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso». Questa for­mulazione esclude la possibilita` di utilizzare a fini di ricerca medica tutti gli embrioni, compresi quelli cosiddetti «soprannumerari», destinati alla soppressione. Tale divieto, se­condo Barbera, «non [...] pare compatibile con la liberta` di ricerca scientifica, sancita dall’articolo 33 della Costituzione». In un’in­tervista all’Espresso del 5 settembre 2003, Giuliano Amato afferma: «trovo scandaloso il medico di famiglia che non si occupa di far prendere alla donna una decisione consa­pevole, ma lascia il certificato per l’aborto in portineria. Di mezzo c’e` la vita di un bam­bino. Io parlo cos`ı: la vita di un bambino. Ma trovo che sia altrettanto immorale lasciar morire migliaia di embrioni e non occuparsi di costruire un sistema che produca cellule staminali. Un embrione destinato a morire, e ce ne saranno sempre, non e` diverso da un bambino appena morto a cui e` permesso espiantare gli organi per la sopravvivenza di un altro bambino».

Cinque punti critici, quelli esposti fin qui, ai quali molti altri se ne potrebbero aggiun­gere, a cominciare dalla sgraziata compara­zione alternativa, proposta dall’articolo 3, tra fecondazione assistita e adozione, o dal grave sottofinanziamento della legge, soste­nibile solo al prezzo assai elevato di rendere evanescente la natura terapeutica della pro­creazione assistita.

Cinque punti critici che sono tuttavia suf­ficienti a indurci a rispondere negativamente alla domanda dalla quale ha preso le mosse l’iter in Senato del testo in esame. Cos`ı co-m’e`, questo testo non risponde in maniera adeguata e soddisfacente all’esigenza di do­tare il nostro Paese di una legge in sintonia con l’Europa, capace di costituire un punto di incontro e non di conflitto tra le diverse visioni etico-culturali e soprattutto tecnica­mente applicabile da parte degli operatori, medici e non.

Emendare il testo per migliorarlo, per ren­derlo piu` europeo, piu` dialogico e piu` appli­cabile non e` quindi una perdita di tempo o un diversivo ostruzionistico, ma un preciso dovere del Senato, che vedrebbe mortificata la sua funzione se si limitasse ad approvare il testo varato dalla Camera. Oltretutto, un si­mile atteggiamento renderebbe incomprensi­bile, a posteriori, l’ampiezza e la profondita` della fase delle audizioni, dalle quali e` emersa una domanda larga e forte di miglio­ramento della legge.

Non dovrebbe risultare difficile per l’Aula del Senato trovare un’intesa su pochi e circo­scritti emendamenti che diano al provvedi­mento un’altra luce e un altro respiro: l’aper­tura rigorosamente disciplinata alla preven­zione delle malattie genetiche, una piu` reali­stica trattazione del problema del consenso della donna all’impianto in utero, un’apertura alla crioconservazione, quanto meno degli zigoti allo stadio precedente alla fusione nu­cleare, l’accesso alla fecondazione eterologa in casi puntualmente circoscritti e la previ­sione della possibilita` di utilizzare gli em­brioni soprannumerari per definiti obiettivi di ricerca medica.

 

In questo senso chiedo all’Aula del Senato di orientarsi.

Tonini, Bettoni Brandani, Carella,

D’Amico, Di Girolamo, Franco Vittoria,

Mascioni e Viviani, relatori di minoranza

 

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