Aug
13
2013
Bilancio di fine anno parlamentare
Pubblicato sul magazine online www.lavalsugana.it

È stata, quella passata (5-9 agosto), l'ultima settimana di lavoro del Parlamento, prima delle ferie estive. Le Camere riapriranno ai primi di settembre, molto prima del solito: solo pochi anni fa, si riprendeva dopo metà settembre, mentre si chiudeva a fine luglio. I parlamentari si concederanno comunque quattro settimane di pausa: c'è chi giudica che siano troppe, ma una volta tanto si può dire che il nostro Parlamento è quello che in Europa lavora di più.

 

L'ambasciatore Zannier, segretario generale dell'Osce (l'Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa), audito mercoledì 7 dalle Commissioni Esteri, Difesa e Affari europei del Senato, nell'ambito dell'indagine conoscitiva che stiamo conducendo sulle prospettive della Difesa europea, si è detto meravigliato della data scelta e ha rimarcato come nessun parlamento in Europa lavora in pieno agosto.

 

In effetti, Parlamento europeo, Bundestag, Westminster e Assemblée Nationale fanno ferie molto più lunghe di Montecitorio e Palazzo Madama. Forse si sentono meno in colpa coi loro cittadini. Forse (e senza forse) noi parlamentari italiani ci sentiamo meno stimati (per usare un eufemismo) e più bisognosi di rimontare nella considerazione dei nostri elettori: anche prolungando il calendario dei lavori fin dentro il mese di agosto, una volta considerato sacro alle ferie.

 

Il rendiconto dell'ultima settimana prima della pausa estiva non può non fare il punto della situazione politica, in particolare individuando le principali questioni che l'anno parlamentare che si chiude trasmette in eredità all'anno che segue. Ne vedo tre, di questioni principali: il tema crescita economica, in un'Italia ancora alle prese con una gravissima recessione; il tema riforma elettorale e riforme costituzionali, tanto più ineludibile se si vuole tornare presto al voto; il tema stabilità di governo, strettamente dipendente dallo stato di salute dei tre partiti che lo sostengono.

 

Crescita economica: proprio la settimana scorsa, il governo Letta ha ottenuto l'approvazione parlamentare del cosiddetto "decreto del fare", orribile espressione gergale, vagamente berlusconiana, usata dal presidente del Consiglio per battezzare un provvedimento omnibus, che raccoglie numerose misure per il sostegno alle imprese, di semplificazione normativa e burocratica e per una maggiore efficienza del sistema giudiziario, in particolare sul versante della giustizia civile.

 

Al di là del giudizio sulle singole misure, l'opinione prevalente è che si tratti di un provvedimento utile, ma certo non risolutivo per il rilancio della crescita economica. L'anno parlamentare ormai passato lascia dunque in eredità all'anno nuovo due grandi cose, tutte da fare, per la crescita economica: una a livello europeo, l'altra a livello nazionale.

 

La grande cosa da fare in Europa, ne abbiamo parlato molte volte in questa rubrica, è dar vita ad una "cassetta degli attrezzi" istituzionali europei, che consenta di affiancare alle politiche economiche nazionali, necessariamente ispirate ad austerità e rigore (pareggio di bilancio, patto di stabilità...), una politica economica espansiva a livello europeo: ad esempio attraverso l'emissione di titoli pubblici europei (i famosi Project Bond), finalizzati a reperire le risorse per sostenere un grande piano di infrastrutture, materiali e immateriali, da realizzare nei paesi europei, a cominciare da quelli mediterranei. L'Italia, a mio modo di vedere, deve fare di questa proposta la priorità delle priorità della sua politica europea, in vista del semestre di presidenza italiana dell'Unione (1º luglio - 31 dicembre 2014).

 

La grande cosa da fare in Italia, sempre per la crescita, è un forte abbattimento della pressione fiscale sull'impresa e sul lavoro. Questa è la vera emergenza del paese. Altro che Imu sulla prima casa e anche Iva al 21 o 22 per cento... Come dimostrano tutti i confronti in sede europea, l'anomalia fiscale italiana non riguarda né l'imposizione sui patrimoni, sulla quale, con il governo Monti, ci siamo portati in linea con la media europea; e neppure quella sui consumi, sulla quale siamo fanalino di coda, a causa di un'evasione record. La vera anomalia italiana consiste nella eccessiva pressione fiscale sul lavoro e sull'impresa. È dunque qui che bisogna agire, con un piano di progressivo rientro nella media europea, da finanziare non in deficit, ma attraverso riduzioni di spesa, secondo il metodo della Spending Review.

 

Riforma elettorale-costituzionale: giovedì 8 mattina anche il Senato, come aveva fatto la Camera, ha votato la procedura d'urgenza per i disegni di legge in materia elettorale. E lo ha fatto all'unanimità. Molto meno unanime è la definizione della direzione di marcia verso cui procedere. Al momento mi pare ci siano sul tavolo due ipotesi.

 

La prima, la più ambiziosa, sostenuta dalla maggioranza del Pdl e da una minoranza del Pd (nella quale mi ritrovo anche io) è quella di importare in Italia il sistema francese: elezione diretta, in due turni, del presidente della Repubblica, elezione dei deputati col doppio turno di collegio, Senato delle autonomie senza più potere di fiducia al governo.

 

La seconda, almeno apparentemente più realistica, è invece la correzione del Porcellum: introducendo una soglia di accesso, anche molto alta (45-50%), al premio di maggioranza ed un eventuale turno di ballottaggio per il premio tra le due coalizioni meglio piazzate al primo turno. I deputati verrebbero scelti con le preferenze in piccole circoscrizioni, di norma provinciali. Resterebbe in ogni caso il problema di superare, attraverso una riforma costituzionale, il bicameralismo e di riconoscere maggiori poteri al premier. In questa proposta parrebbe riconoscersi più agevolmente il Pd, mentre il Pdl resta freddo e diffidente. A settembre ne sapremo di più.

 

Stabilità del governo: Berlusconi spera in un'uscita politica dalla sua sempre più problematica situazione giudiziaria. Ci spera, ma non ci crede. Sa che è impossibile, sia convincere Napolitano sulla via della grazia, sia convincere il Pd su quella dell'amnistia, o anche solo sul voto contro la sua decadenza da senatore. A settembre, al più tardi ottobre, Berlusconi vedrà eseguita la sentenza: la procura di Milano gli notificherà gli arresti domiciliari, con le severe limitazioni che essi comportano in termini di relazioni pubbliche, mentre il Senato voterà a larga maggioranza la sua decadenza da senatore, se non si sarà dimesso prima.

 

Al momento, invece di prendere atto che la sua storia politica è terminata e incoraggiare il centrodestra a riorganizzarsi senza di lui, Berlusconi reagisce alzando il tiro sull'Imu prima casa, incurante della irrilevanza di questa costosa manovra (4 miliardi l'anno da trovare) ai fini della ripresa, che richiederebbe invece un intervento deciso per alleggerire il carico fiscale su impresa e lavoro. L'argomento "bisogna farlo, perché l'ho promesso" non è fortissimo: al più riguarda lui, non il governo, tanto meno un governo nel quale non c'è solo il Pdl, ma anche il Pd e Scelta civica, entrambi (giustamente) critici sulla proposta.

 

Ma è chiaro che Berlusconi usa l'Imu per sentirsi ancora vivo, per minacciare la crisi e le elezioni anticipate. Ma come abbiamo scritto la settimana scorsa, la crisi può farla in un attimo, ma le elezioni? Quelle dipendono da Napolitano, che non ha nessuna intenzione di sciogliere le Camere, piuttosto si dimette lui. E poi, a quelle elezioni, Berlusconi non potrebbe candidarsi...

 

Insomma, pur con tutti i dubbi del caso, io resto convinto che il governo Letta andrà avanti. Speriamo che riesca a fare le cose importanti per l'Italia, di cui abbiamo parlato: politiche per la crescita economica e riforme elettorali e costituzionali. E poi, riorganizzazione del quadro politico.

 

L'Italia avrebbe bisogno di un centrodestra finalmente "deberlusconizzato" e di un centrosinistra, di un Pd finalmente liberato dall'ipoteca post-comunista e per questo capace di parlare ad un più vasto elettorato di quello tradizionalmente di sinistra. A questo può e deve servire la leadership di Matteo Renzi: non a mettere in crisi il governo Letta (semmai ad incalzarlo in senso riformista), ma a costruire finalmente il vero Pd, un partito capace di parlare alla società del Duemila e non più arroccato a difesa di quella del Novecento.

 

Fatemi concludere questa 19ª puntata di PALAZZOMADAMA con tre annotazioni personali.

 

La prima: insieme ad Enrico Morando abbiamo pubblicato in questi giorni, presso l'editore Marsilio, la seconda edizione del nostro libro L'ITALIA DEI DEMOCRATICI. Un libro col quale cerchiamo di collocare l'Italia nel grande cambiamento in atto a livello europeo e globale; facciamo i conti con la crisi italiana e le riforme che servono per affrontarla; cerchiamo di individuare i cambiamenti nei meccanismi istituzionali e nella cultura politica del Pd necessari a dar vita ad un vero ciclo di governo riformista. Questa nuova edizione è arricchita, tra l'altro, da una prefazione di Matteo Renzi, che spiega perché "per cambiare l'Italia bisogna cambiare il Pd". Un contributo, il nostro, ad una politica un po' meno gridata e un po' più "pensata".

 

La seconda: nei mesi scorsi, nonostante i ripetuti, cortesi inviti dei colleghi eletti in Trentino - Alto Adige, ho deciso di non aderire al Gruppo per le Autonomie e di restare nel Gruppo del Pd, dove sono stato eletto vicepresidente. Penso di aver fatto bene. Anche per la nostra autonomia speciale. La quale ritengo abbia certamente bisogno di un gruppo "specializzato", come quello di cui fanno parte i miei colleghi ed amici Panizza e Fravezzi, ma anche di relazioni forti con i gruppi maggiori, a cominciare dal Pd. Insomma: penso di poter essere più utile all'autonomia da vicepresidente dei senatori del Pd che da senatore del Gruppo delle Autonomie, che è comunque un gran bene che ci sia.

 

La terza: da qualche parte mi sono arrivate critiche per una mia insufficiente presenza sul territorio del collegio. In effetti, anch'io vorrei fare di più ed essere più presente. Ad esempio, sarebbe bello, certamente per me, poter discutere dal vivo dei temi trattati su questa rubrica, attraverso un contraddittorio diretto e magari invitando colleghi senatori esperti di temi diversi. Non abbiate alcuna remora a contattarmi per organizzare serate, anche di piccoli gruppi, nei fine settimana (da venerdì a lunedì). La mia e-mail personale è giotoni@tin.it. Come si dice, sono a disposizione.

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