Jun
01
2013
La bicicletta di Enrico
Pubblicato sul magazine online www.lavalsugana.it

Quella appena trascorsa è stata una settimana parlamentare molto breve. Sono sceso a Roma martedì 28 maggio mattina presto, col regionale delle 6 e la Frecciargento da Verona. Non avevo potuto partire lunedì sera, perché c'era stata l'assemblea del Pd del Trentino, con la decisione, preso atto della insuperabile indisponibilità di Pacher, di procedere a primarie di coalizione per la scelta del candidato presidente della Provincia, con la partecipazione di un solo concorrente del Pd, indicato dall'assemblea stessa.

 

Martedì mattina, alle 11 in Senato, c'era invece l'assemblea dei senatori del Pd. All'ordine del giorno, una discussione sulle riforme costituzionali: per la giornata successiva, mercoledì, è infatti prevista la discussione e votazione in Aula, alla presenza di Enrico Letta, di una mozione di maggioranza (Pd-Pdl-Sc) che impegna il governo a presentare un disegno di legge costituzionale che preveda una procedura "speciale" per consentire una modifica "pesante" della Carta, quale quella che la maggioranza ha in programma di realizzare.

 

Le modifiche sostanziali, rispetto alla procedura ordinaria prevista dall'articolo 138 della Costituzione, sono in sostanza tre: la fase referente in commissione viene effettuata una volta sola, presso le due commissioni "congiunte" Affari costituzionali della Camera e del Senato; all'interno delle due commissioni congiunte, viene costituito un comitato ristretto di 40 membri, 20 deputati e 20 senatori, ai quali spetta il compito di stendere il testo-base della riforma; l'iter successivo resta invariato, con la doppia lettura da parte di ciascuna assemblea (Camera e Senato), ma viene prevista la possibilità, qualunque sia il quorum del voto finale, di sottoporre il testo approvato ad un referendum popolare confermativo.

 

Il dibattito nel gruppo, introdotto dal ministro dei Rapporti col Parlamento, Dario Franceschini, è stato molto ampio (e quindi molto lungo). Si vede a occhio nudo che, per i tanti nuovi arrivati, è ormai svanito l'effetto primo-giorno-di-scuola: è ripresa a pieno ritmo la vecchia (e brutta) abitudine di presenziare per un po', magari intervenire, e poi andarsene alla spicciolata prima delle conclusioni, alle quali assiste solo un manipolo di stacanovisti. Ha ragione Alberto Robol, quando dice che la politica è la prova (schiacciante) dell'esistenza del peccato originale...

 

Io intervengo tra gli ultimissimi, davanti ad un'Assemblea ormai a ranghi assai ridotti. (Siamo nella splendida Sala Koch, che fino a pochi anni fa ospitava la biblioteca del Senato, ora unificata con quella della Camera nella nuova sede di piazza della Minerva. Gaetano Koch fu un grande architetto italiano, tra Otto e Novecento, progettista oltre che della biblioteca del Senato, del palazzo sede della Banca d'Italia e di quello ora sede dell'Ambasciata Usa).

 

Intervengo per esprimere le mie perplessità sulla mozione. Già altri colleghi lo avevano fatto, ma per motivazioni opposte alle mie. La loro era un'obiezione motivata dalla contrarietà ad una riforma incisiva della seconda parte della Costituzione: e dal loro punto di vista la modifica del 138 è considerata un pericoloso varco a uno snaturamento facile e disinvolto della nostra Carta fondamentale. Per me le ragioni sono diverse: sono assolutamente favorevole alla riforma, nell'unica versione che appare al tempo stesso realistica e auspicabile, ossia il modello "francese" (semipresidenzialismo e doppio turno d collegio), abbinato con la riforma "tedesca" del Senato. Penso quindi che dovremmo concentrare la discussione sul merito della riforma e in particolare chiarirci le idee noi del Pd (siamo d'accordo o no? Al momento non è chiaro, anche se i consensi stanno crescendo). E non, invece, prendere-perdere tempo con una (secondo me) inutile riforma della procedura necessaria a fare la riforma: per risparmiarci un passaggio, ne introduciamo infatti altri sei, quelli necessari ad approvare la legge costituzionale di modifica del 138.

 

Come spesso mi capita, i miei argomenti incontrano larghi consensi tra i colleghi. Ma la decisione è presa ("vuolsi così colà dove si puote / quel che si vuole, e più non dimandare", Dante, Inferno, III, 95-96). Non resta che lasciare a verbale, insieme alla rassicurazione che mi adeguerò comunque alla disciplina di gruppo nel voto (senza la quale non ci sarebbe più il partito), tutta la mia perplessità. Così, tanto per avere poi la personalissima soddisfazione di vedersi dare ragione dai fatti. Naturalmente a babbo morto. Oltre ad essere prova dell'esistenza del peccato originale, la politica è infatti vivente rappresentazione del mito di Sisifo, condannato a portare una pietra enorme su per un ripido pendio, per poi vederla rotolare in basso e dover ricominciare daccapo.

 

Zanda mi chiede di intervenire in Aula, la mattina dopo. Naturalmente accetto. Ho 7 minuti. Comincio il mio intervento (che potete leggere sul mio blog giorgiotonini.it) con una citazione di Mounier: la democrazia è come una bicicletta, sta in equilibrio solo se avanza. Spiego che per me anche questa coalizione e questo governo sono come una bicicletta: stanno in piedi solo se fanno le riforme, quelle economiche e sociali e quelle politico-istituzionali. Ricordo come fosse proprio uno dei padri costituenti, Giuseppe Dossetti, a criticare (nel 1984, in un libro-intervista a Scoppola ed Elia, pubblicato pochi anni fa dal Mulino) la seconda parte della Costituzione, preoccupata di non attribuire troppa forza al governo, e dunque contraddittoria con la prima, che pone alla Repubblica obiettivi così ambiziosi da risultare impossibili per un governo debole. Concludo esprimendo la speranza che riusciamo a smentire la profezia di Craxi (credo mutuata da Nenni) per cui è quando non si vuole affrontare davvero un problema, che si mette in piedi una commissione...

 

Alla fine la mozione di maggioranza è approvata con un ampio margine, sia da noi che alla Camera. A Montecitorio va in scena lo psicodramma della riforma elettorale. Roberto Giachetti ha raccolto molte firme di deputati democratici in calce ad una mozione che chiede l'abrogazione del "Porcellum" e il ripristino del "Mattarellum". Inutile la richiesta di Epifani, della Finocchiaro, di Franceschini, dello stesso Letta, di ritirarla. Giachetti insiste e va al voto in Aula. Ma resta solo. La sua mozione viene votata dai grillini e da Sel, ma non dai democratici. Nessuno.

 

Non si può non essere d'accordo con Giachetti: il Mattarellum (il sistema col quale sono stato eletto anch'io, come tutti i senatori della nostra regione, unica ad averlo mantenuto in vigore) è di gran lunga migliore del Porcellum, perché il collegio uninominale è molto, molto meglio della lista boccata. Ma non si può neppure non dargli torto. Perché non è possibile fare una riforma elettorale senza accordo su quella costituzionale. Almeno con questa maggioranza di governo. Peraltro, al momento, l'unica possibile. Semmai, c'è da dire, come avevo detto all'Assemblea del gruppo, che anche questo psicodramma sulla legge elettorale è in parte figlio dell'incertezza dei tempi della riforma, allungati e non abbreviati dalla modifica del 138. Comunque, in Aula Letta si è impegnato su tempi brevi. Entro 18 mesi la riforma o tutti a casa. Vedremo. Speriamo.

 

La sera di mercoledì, su impulso di Michele Nicoletti, ci vediamo a cena tra parlamentari eletti in Trentino-Alto Adige per il Pd e la Svp. Facciamo un primo punto sulle questioni aperte, con l'impegno di rivederci quanto prima anche con i colleghi del Patt, che quella sera erano impegnati, e con Dellai e Fravezzi.

 

Giovedì mattina, alle 8,30, il ministro degli Affari europei, Enzo Moavero, riferisce dei lavori del Consiglio europeo della settimana precedente alle commissioni Esteri, Bilancio e Affari europei di Camera e Senato. Il Consiglio si è concentrato su due argomenti, certamente importantissimi, ma laterali, come l'energia e la lotta all'evasione fiscale. Moavero ne riferisce col consueto rigore intellettuale e aplomb diplomatico. Concludendo, si dichiara disponibile a rispondere anche a domande sulla questione del giorno: la decisione della Commissione europea di chiudere la procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell'Italia e di inviare al nostro Paese ben sei "raccomandazioni", per evitare "ricadute".

 

Devo intervenire per primo, dopo il ministro, e afferro al volo la sua disponibilità. Faccio riferimento a due delle sei raccomandazioni: quella che chiede all'Italia di mantenersi nel sentiero di avvicinamento all'obiettivo del pareggio strutturale del bilancio e dell'avanzo primario strutturale, in modo da poter cominciare, dal 2014, il percorso di riduzione graduale ma costante del debito; e quella che chiede all'Italia di privilegiare, nella riduzione della pressione fiscale complessiva (beninteso, da finanziare con riduzione della spesa e non in deficit), il carico fiscale sul lavoro e sull'impresa, anche spostando pressione sui consumi (IVA) e sul patrimonio (IMU).

 

Chiedo al ministro come si concilino queste raccomandazioni, che condivido, con le dichiarazioni del governo e di una parte importante della coalizione (Pdl, con Berlusconi in testa), che invece individuano nella riduzione dell'IMU e nell'invarianza dell'IVA le due priorità. Buttiglione, a nome di Scelta civica, mi segue sulla stessa linea. Mentre Cicchitto, a nome del Pdl, si colloca su una posizione critica nei riguardi dell'Ue e chiede al governo una posizione più ferma nel rivendicare autonomia nazionale rispetto alle imposizioni di Bruxelles, anche dando vita ad un asse mediterraneo e anti-tedesco con Parigi e Madrid.

 

In pratica, secondo Cicchitto, la fine della procedura di infrazione deve poter significare licenza di fare nuovo deficit, per sostenere la domanda interna attraverso una riduzione generalizzata della pressione fiscale, senza una simmetrica riduzione della spesa. Al contrario, Buttiglione pone l'accento sulla necessità di tenere sotto controllo i conti pubblici e di aiutare la ripresa mediante riforme che accrescano la competitività del nostro sistema sui mercati internazionali. Come hanno fatto i tedeschi.

 

Il vero problema, per me, è come affiancare al rigore "tedesco", che deve ispirare le politiche degli Stati nazionali, a cominciare da quelli più indebitati come il nostro, politiche espansive, di stampo keynesiano, a livello di Unione europea. Questo dovrebbero chiedere, insieme, Roma, Parigi, Madrid. Più Europa, titoli europei che finanzino investimenti soprattutto nei paesi in recessione, in definitiva passi avanti significativi verso un vero governo federale europeo. Il governo federale Usa gestisce il 25 per cento del PIL americano, mentre il bilancio dell'Unione europea è poco sopra l'1 per cento.

 

Moavero risponde i modo diplomatico. Ricorda che le raccomandazioni sono per l'appunto raccomandazioni e non diktat. Poi aggiunge che quella sul fisco è dettata dal buon senso, prima ancora che dalla dottrina economica. Ma la discussione strategica nella coalizione che sostiene il governo Letta, penso tornando a Trento, è appena cominciata. Intanto sabato, dal Festival dell'economia di Trento, Letta dice che vuole ridurre le tasse a cominciare da quelle sul lavoro. E che il prossimo presidente della Repubblica non potrà più essere eletto nel modo tradizionale. Forse la bicicletta sta cominciando a prendere velocità.

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