Sep
14
2012
Renzi ha colto il punto
Il mio articolo apparso su "Europa"

Ieri Matteo Renzi ha tenuto a Verona un discorso bello, importante, ambizioso. Che ha posto al centro il buco nero della strategia attuale del Pd: la rinuncia a conquistare il voto di milioni di italiani sedotti e traditi da Berlusconi. Vedremo nelle prossime settimane se saprà dimostrare di avere la statura umana e politica all'altezza dell'obiettivo che si è dato: portare una nuova generazione di democratici alla guida del paese.

Ma Renzi ha comunque colto il punto: non si capisce perché il Pd, di fronte ad un centrodestra in rotta, senza né leader, né programma, né alleanze, e con più della metà degli elettori del 2008 in fuga, invece di tentare lo sfondamento delle linee avversarie, mai state così porose, e la conquista del centro del paese, come gli suggerirebbe di fare la sua originaria natura di partito riformista, preferisca rinchiudersi nei confini tradizionali della sinistra, quasi avesse il problema di difendersi e di resistere, anziché quello di aprirsi, di attaccare, di imporre la sua iniziativa a tutto campo.

Emblematica, a questo riguardo, la vicenda dei rapporti con Sinistra e libertà: allo stato, unica conquista della famosa "strategia delle alleanze" che avrebbe dovuto rimediare ai presunti disastri della "vocazione maggioritaria". L'alleanza con Vendola può essere una scelta giusta e sensata. Ma solo un Pd che marcia risolutamente verso il centro del paese può sostenere e perfino giovarsi di un'alleanza a sinistra. Sel è nata da una coraggiosa rottura con Rifondazione comunista, motivata dalla necessità di riprendere il contatto con un Pd limpidamente riformista. Ma se il Pd rincula verso sinistra, finisce anche per restringere il campo di Sel, costringendola ad invertire tragicamente la direzione di marcia. Ad esempio: se autorevoli dirigenti democratici dicono un giorno si e l'altro pure, senza mai essere smentiti, che il governo Bersani rivedrà in senso regressivo le riforme Fornero, è difficile meravigliarsi che Vendola finisca per appoggiare il referendum promosso da Di Pietro e da tutta la compagnia della sinistra massimalista. Per la semplice ragione che è l'unico spazio che gli resta. Ma il risultato è catastrofico, per la credibilità del Pd e della sua proposta di governo: l'alleanza finisce per perdere, insieme all'affidabilità, qualunque connotazione innovativa e quindi ogni forza espansiva. E per restringere, anziché allargare, il campo del centrosinistra.

Non meno istruttiva la parabola dell'altro caposaldo della strategia del Pd di questi anni: l'alleanza (post-elettorale) tra Pd e Udc, intesa come convergenza tra "progressisti" e "moderati". Il Pd era nato dall'esperienza dell'Ulivo e dall'idea prodiana della "casa comune dei riformisti". Dinanzi al crollo del berlusconismo e al successo, in Italia e in Europa, del governo Monti e della sua Agenda, entrambi figli dell'iniziativa politica del Pd, prima tappa della famosa ricostruzione del paese, i "riformisti uniti", per ragioni misteriose come quelle che portano le balene a spiaggiare, decidono di ribattezzarsi "progressisti", di rinnegare le loro radici migliori, il socialismo liberale dei Ds e la cultura liberal-democratica della Margherita, e di rinchiudersi da soli nel recinto dei figli di un dio minore. La loro generosità arriva al punto di agevolare lo scivolamento di aree sociali e personalità che solo pochi anni fa si sarebbero riconosciute istintivamente nel Pd o nell'Ulivo, verso i "moderati" dell'Udc. Non dirò dei ministri del governo Monti, ma come si può pensare di regalare a Casini il monopolio dell'interlocuzione con mondi che vanno da Confcommercio e Confartigianato, passando per Cisl e Coldiretti, fino alle Acli e a Sant'Egidio?

Non è tutto: come l'alleanza a sinistra con Sel, anche questa curiosa autoriduzione dei riformisti in progressisti-che-per-andare-al-governo-hanno-bisogno-dei-moderati, impone le sue coerenze. La prima delle quali è la rinuncia ad un sistema elettorale che ci dica la sera delle elezioni chi ha vinto la sfida del governo. Perché non è possibile volere al tempo stesso questo caposaldo della democrazia dell'alternanza e il suo contrario, l'alleanza di governo, post-elettorale, tra progressisti e moderati. E infatti, sulla riforma elettorale, abbiamo cominciato a polemizzare con Casini...

Il Pd si è incartato. Renzi o non Renzi, serve una svolta.Ieri Matteo Renzi ha tenuto a Verona un discorso bello, importante, ambizioso. Che ha posto al centro il buco nero della strategia attuale del Pd: la rinuncia a conquistare il voto di milioni di italiani sedotti e traditi da Berlusconi. Vedremo nelle prossime settimane se saprà dimostrare di avere la statura umana e politica all'altezza dell'obiettivo che si è dato: portare una nuova generazione di democratici alla guida del paese.

Ma Renzi ha comunque colto il punto: non si capisce perché il Pd, di fronte ad un centrodestra in rotta, senza né leader, né programma, né alleanze, e con più della metà degli elettori del 2008 in fuga, invece di tentare lo sfondamento delle linee avversarie, mai state così porose, e la conquista del centro del paese, come gli suggerirebbe di fare la sua originaria natura di partito riformista, preferisca rinchiudersi nei confini tradizionali della sinistra, quasi avesse il problema di difendersi e di resistere, anziché quello di aprirsi, di attaccare, di imporre la sua iniziativa a tutto campo.

Emblematica, a questo riguardo, la vicenda dei rapporti con Sinistra e libertà: allo stato, unica conquista della famosa "strategia delle alleanze" che avrebbe dovuto rimediare ai presunti disastri della "vocazione maggioritaria". L'alleanza con Vendola può essere una scelta giusta e sensata. Ma solo un Pd che marcia risolutamente verso il centro del paese può sostenere e perfino giovarsi di un'alleanza a sinistra. Sel è nata da una coraggiosa rottura con Rifondazione comunista, motivata dalla necessità di riprendere il contatto con un Pd limpidamente riformista. Ma se il Pd rincula verso sinistra, finisce anche per restringere il campo di Sel, costringendola ad invertire tragicamente la direzione di marcia. Ad esempio: se autorevoli dirigenti democratici dicono un giorno si e l'altro pure, senza mai essere smentiti, che il governo Bersani rivedrà in senso regressivo le riforme Fornero, è difficile meravigliarsi che Vendola finisca per appoggiare il referendum promosso da Di Pietro e da tutta la compagnia della sinistra massimalista. Per la semplice ragione che è l'unico spazio che gli resta. Ma il risultato è catastrofico, per la credibilità del Pd e della sua proposta di governo: l'alleanza finisce per perdere, insieme all'affidabilità, qualunque connotazione innovativa e quindi ogni forza espansiva. E per restringere, anziché allargare, il campo del centrosinistra.

Non meno istruttiva la parabola dell'altro caposaldo della strategia del Pd di questi anni: l'alleanza (post-elettorale) tra Pd e Udc, intesa come convergenza tra "progressisti" e "moderati". Il Pd era nato dall'esperienza dell'Ulivo e dall'idea prodiana della "casa comune dei riformisti". Dinanzi al crollo del berlusconismo e al successo, in Italia e in Europa, del governo Monti e della sua Agenda, entrambi figli dell'iniziativa politica del Pd, prima tappa della famosa ricostruzione del paese, i "riformisti uniti", per ragioni misteriose come quelle che portano le balene a spiaggiare, decidono di ribattezzarsi "progressisti", di rinnegare le loro radici migliori, il socialismo liberale dei Ds e la cultura liberal-democratica della Margherita, e di rinchiudersi da soli nel recinto dei figli di un dio minore. La loro generosità arriva al punto di agevolare lo scivolamento di aree sociali e personalità che solo pochi anni fa si sarebbero riconosciute istintivamente nel Pd o nell'Ulivo, verso i "moderati" dell'Udc. Non dirò dei ministri del governo Monti, ma come si può pensare di regalare a Casini il monopolio dell'interlocuzione con mondi che vanno da Confcommercio e Confartigianato, passando per Cisl e Coldiretti, fino alle Acli e a Sant'Egidio?

Non è tutto: come l'alleanza a sinistra con Sel, anche questa curiosa autoriduzione dei riformisti in progressisti-che-per-andare-al-governo-hanno-bisogno-dei-moderati, impone le sue coerenze. La prima delle quali è la rinuncia ad un sistema elettorale che ci dica la sera delle elezioni chi ha vinto la sfida del governo. Perché non è possibile volere al tempo stesso questo caposaldo della democrazia dell'alternanza e il suo contrario, l'alleanza di governo, post-elettorale, tra progressisti e moderati. E infatti, sulla riforma elettorale, abbiamo cominciato a polemizzare con Casini...

Il Pd si è incartato. Renzi o non Renzi, serve una svolta.Ieri Matteo Renzi ha tenuto a Verona un discorso bello, importante, ambizioso. Che ha posto al centro il buco nero della strategia attuale del Pd: la rinuncia a conquistare il voto di milioni di italiani sedotti e traditi da Berlusconi. Vedremo nelle prossime settimane se saprà dimostrare di avere la statura umana e politica all'altezza dell'obiettivo che si è dato: portare una nuova generazione di democratici alla guida del paese.

Ma Renzi ha comunque colto il punto: non si capisce perché il Pd, di fronte ad un centrodestra in rotta, senza né leader, né programma, né alleanze, e con più della metà degli elettori del 2008 in fuga, invece di tentare lo sfondamento delle linee avversarie, mai state così porose, e la conquista del centro del paese, come gli suggerirebbe di fare la sua originaria natura di partito riformista, preferisca rinchiudersi nei confini tradizionali della sinistra, quasi avesse il problema di difendersi e di resistere, anziché quello di aprirsi, di attaccare, di imporre la sua iniziativa a tutto campo.

Emblematica, a questo riguardo, la vicenda dei rapporti con Sinistra e libertà: allo stato, unica conquista della famosa "strategia delle alleanze" che avrebbe dovuto rimediare ai presunti disastri della "vocazione maggioritaria". L'alleanza con Vendola può essere una scelta giusta e sensata. Ma solo un Pd che marcia risolutamente verso il centro del paese può sostenere e perfino giovarsi di un'alleanza a sinistra. Sel è nata da una coraggiosa rottura con Rifondazione comunista, motivata dalla necessità di riprendere il contatto con un Pd limpidamente riformista. Ma se il Pd rincula verso sinistra, finisce anche per restringere il campo di Sel, costringendola ad invertire tragicamente la direzione di marcia. Ad esempio: se autorevoli dirigenti democratici dicono un giorno si e l'altro pure, senza mai essere smentiti, che il governo Bersani rivedrà in senso regressivo le riforme Fornero, è difficile meravigliarsi che Vendola finisca per appoggiare il referendum promosso da Di Pietro e da tutta la compagnia della sinistra massimalista. Per la semplice ragione che è l'unico spazio che gli resta. Ma il risultato è catastrofico, per la credibilità del Pd e della sua proposta di governo: l'alleanza finisce per perdere, insieme all'affidabilità, qualunque connotazione innovativa e quindi ogni forza espansiva. E per restringere, anziché allargare, il campo del centrosinistra.

Non meno istruttiva la parabola dell'altro caposaldo della strategia del Pd di questi anni: l'alleanza (post-elettorale) tra Pd e Udc, intesa come convergenza tra "progressisti" e "moderati". Il Pd era nato dall'esperienza dell'Ulivo e dall'idea prodiana della "casa comune dei riformisti". Dinanzi al crollo del berlusconismo e al successo, in Italia e in Europa, del governo Monti e della sua Agenda, entrambi figli dell'iniziativa politica del Pd, prima tappa della famosa ricostruzione del paese, i "riformisti uniti", per ragioni misteriose come quelle che portano le balene a spiaggiare, decidono di ribattezzarsi "progressisti", di rinnegare le loro radici migliori, il socialismo liberale dei Ds e la cultura liberal-democratica della Margherita, e di rinchiudersi da soli nel recinto dei figli di un dio minore. La loro generosità arriva al punto di agevolare lo scivolamento di aree sociali e personalità che solo pochi anni fa si sarebbero riconosciute istintivamente nel Pd o nell'Ulivo, verso i "moderati" dell'Udc. Non dirò dei ministri del governo Monti, ma come si può pensare di regalare a Casini il monopolio dell'interlocuzione con mondi che vanno da Confcommercio e Confartigianato, passando per Cisl e Coldiretti, fino alle Acli e a Sant'Egidio?

Non è tutto: come l'alleanza a sinistra con Sel, anche questa curiosa autoriduzione dei riformisti in progressisti-che-per-andare-al-governo-hanno-bisogno-dei-moderati, impone le sue coerenze. La prima delle quali è la rinuncia ad un sistema elettorale che ci dica la sera delle elezioni chi ha vinto la sfida del governo. Perché non è possibile volere al tempo stesso questo caposaldo della democrazia dell'alternanza e il suo contrario, l'alleanza di governo, post-elettorale, tra progressisti e moderati. E infatti, sulla riforma elettorale, abbiamo cominciato a polemizzare con Casini...

Il Pd si è incartato. Renzi o non Renzi, serve una svolta.Ieri Matteo Renzi ha tenuto a Verona un discorso bello, importante, ambizioso. Che ha posto al centro il buco nero della strategia attuale del Pd: la rinuncia a conquistare il voto di milioni di italiani sedotti e traditi da Berlusconi. Vedremo nelle prossime settimane se saprà dimostrare di avere la statura umana e politica all'altezza dell'obiettivo che si è dato: portare una nuova generazione di democratici alla guida del paese.

Ma Renzi ha comunque colto il punto: non si capisce perché il Pd, di fronte ad un centrodestra in rotta, senza né leader, né programma, né alleanze, e con più della metà degli elettori del 2008 in fuga, invece di tentare lo sfondamento delle linee avversarie, mai state così porose, e la conquista del centro del paese, come gli suggerirebbe di fare la sua originaria natura di partito riformista, preferisca rinchiudersi nei confini tradizionali della sinistra, quasi avesse il problema di difendersi e di resistere, anziché quello di aprirsi, di attaccare, di imporre la sua iniziativa a tutto campo.

Emblematica, a questo riguardo, la vicenda dei rapporti con Sinistra e libertà: allo stato, unica conquista della famosa "strategia delle alleanze" che avrebbe dovuto rimediare ai presunti disastri della "vocazione maggioritaria". L'alleanza con Vendola può essere una scelta giusta e sensata. Ma solo un Pd che marcia risolutamente verso il centro del paese può sostenere e perfino giovarsi di un'alleanza a sinistra. Sel è nata da una coraggiosa rottura con Rifondazione comunista, motivata dalla necessità di riprendere il contatto con un Pd limpidamente riformista. Ma se il Pd rincula verso sinistra, finisce anche per restringere il campo di Sel, costringendola ad invertire tragicamente la direzione di marcia. Ad esempio: se autorevoli dirigenti democratici dicono un giorno si e l'altro pure, senza mai essere smentiti, che il governo Bersani rivedrà in senso regressivo le riforme Fornero, è difficile meravigliarsi che Vendola finisca per appoggiare il referendum promosso da Di Pietro e da tutta la compagnia della sinistra massimalista. Per la semplice ragione che è l'unico spazio che gli resta. Ma il risultato è catastrofico, per la credibilità del Pd e della sua proposta di governo: l'alleanza finisce per perdere, insieme all'affidabilità, qualunque connotazione innovativa e quindi ogni forza espansiva. E per restringere, anziché allargare, il campo del centrosinistra.

Non meno istruttiva la parabola dell'altro caposaldo della strategia del Pd di questi anni: l'alleanza (post-elettorale) tra Pd e Udc, intesa come convergenza tra "progressisti" e "moderati". Il Pd era nato dall'esperienza dell'Ulivo e dall'idea prodiana della "casa comune dei riformisti". Dinanzi al crollo del berlusconismo e al successo, in Italia e in Europa, del governo Monti e della sua Agenda, entrambi figli dell'iniziativa politica del Pd, prima tappa della famosa ricostruzione del paese, i "riformisti uniti", per ragioni misteriose come quelle che portano le balene a spiaggiare, decidono di ribattezzarsi "progressisti", di rinnegare le loro radici migliori, il socialismo liberale dei Ds e la cultura liberal-democratica della Margherita, e di rinchiudersi da soli nel recinto dei figli di un dio minore. La loro generosità arriva al punto di agevolare lo scivolamento di aree sociali e personalità che solo pochi anni fa si sarebbero riconosciute istintivamente nel Pd o nell'Ulivo, verso i "moderati" dell'Udc. Non dirò dei ministri del governo Monti, ma come si può pensare di regalare a Casini il monopolio dell'interlocuzione con mondi che vanno da Confcommercio e Confartigianato, passando per Cisl e Coldiretti, fino alle Acli e a Sant'Egidio?

Non è tutto: come l'alleanza a sinistra con Sel, anche questa curiosa autoriduzione dei riformisti in progressisti-che-per-andare-al-governo-hanno-bisogno-dei-moderati, impone le sue coerenze. La prima delle quali è la rinuncia ad un sistema elettorale che ci dica la sera delle elezioni chi ha vinto la sfida del governo. Perché non è possibile volere al tempo stesso questo caposaldo della democrazia dell'alternanza e il suo contrario, l'alleanza di governo, post-elettorale, tra progressisti e moderati. E infatti, sulla riforma elettorale, abbiamo cominciato a polemizzare con Casini...

Il Pd si è incartato. Renzi o non Renzi, serve una svolta.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro
inviato da magnagrecia il 17 September 2012 17:23
Riporto 3 dei miei commenti ‘postati’ in calce all’articolo pubblicato su “Europa”. Io di solito non uso i superlativi, ma questa volta ritengo opportuno e legittimo definire gravissimo e l’articolo e i “mi piace”. Chiedo scusa, ma mi riesce insopportabile pensare di far parte dello stesso partito con gente così.

Primo commento.
Se questo (dirigente del PD) è un uomo (intelligente). Può darsi, ma prende tutti per fessi?
1) “se autorevoli dirigenti democratici dicono un giorno si e l’altro pure, senza mai essere smentiti, che il governo Bersani rivedrà in senso regressivo le riforme Fornero”
Bizzarra argomentazione logica: comodo darsi ragione a priori definendo “regressivo” (rispetto a che?) l’intento di modificarne le criticità macroscopiche, ammesse persino dalla sua autrice (che peraltro ha fatto cose contrarie a ciò che ha scritto per anni su importanti quotidiani).
2) “Confcommercio e Confartigianato, passando per Cisl e Coldiretti”.
Io sono rimasto a quando erano architravi del potere DC, in maggioranza della destra dc. La CISL? Qual è, quel sindacato (segretario Bonanni) che ha appoggiato (assieme alla UIL, segretario Angeletti) – unici sindacati in Europa ad averlo fatto col proprio governo dopo la crisi della Grecia - tutte le porcate (mi si passi il termine) del governo Berlusconi-Tremonti-Sacconi, che per sanare i conti pubblici ha varato manovre finanziarie correttive per un ammontare cumulato di 266,3 mld, addossandone il peso in gran parte sul ceto medio-basso e persino sui poveri?
3) “La prima delle quali è la rinuncia ad un sistema elettorale che ci dica la sera delle elezioni chi ha vinto la sfida del governo. Perché non è possibile volere al tempo stesso questo caposaldo della democrazia dell’alternanza e il suo contrario”,
Ragionamento capzioso, fatto da chi, per darsi ragione, stigmatizza un’incongruenza logica formale altrui, ma ne commette una sostanziale molta più grossa, visto che in (quasi) TUTTI i Paesi evoluti, c’è proprio un sistema elettorale che ci dica la sera delle elezioni chi ha vinto la sfida del governo”. Evidentemente, da bravo democristiano, preferisce riaffidare il tutto alle mani sapienti dei partiti politici togliendolo ai cittadini. Lasciateci almeno questo, ogni 5 anni!

Secondo commento.
I \\\\\\\"mi piace\\\\\\\" sono saliti (finora) a ben 129, ma tutti \\\\\\\"coraggiosamente\\\\\\\" anonimi e silenziosi. Francamente trovo inquietante che nel PD (ma sono davvero tutti del PD? Io faccio fatica a crederlo) alberghino dirigenti (demo)cristiani con una logica stortignaccola e spietata alla Giorgio Tonini o suoi estimatori - si presume anch\\\\\\\'essi (demo)cristiani pii e spietati - cui sembra accettabile e... \\\\\\\"piacevole\\\\\\\" difendere ad ogni costo, persino contro il buon senso, una legge che di botto manda letteralmente sulla strada centinaia di migliaia di pensionandi (gli \\\\\\\"esodati\\\\\\\", ma anche tutti gli altri disoccupati o inattivi) ultra cinquantasettenni ad un passo dalla pensione, lasciandoli per anni (fino a 5!, un super-scalone) senza stipendio, senza pensione e senza ammortizzatori sociali, battendo il record dello \\\\\\\"scalone\\\\\\\" del governo Berlusconi-Maroni (2004) che s\\\\\\\'era fermato a 3, poi corretto dal governo Prodi-Damiano (2007).

Terzo commento.
Mi rifiuto di credere che questi 130 [ora sono 141] che hanno cliccato su \\\\\\\"mi piace\\\\\\\" e non hanno il coraggio di commentare firmandosi col nickname siano del PD. Più probabile siano di centrodestra o, al limite, siano stati assoldati da Giorgio Tonini.
Ps: “assoldati” (a scanso di equivoci, aggiungo ora le virgolette).
Pps: ho replicato questo commento in calce all’editoriale di Menichini, aggiungendo questa postilla: Ps: S\\\\\\\'io fossi al posto del direttore Menichini, vista l\\\\\\\'enormità del fatto nel caso si tratti di elettori del PD (mi riferisco al numero di \\\\\\\"mi piace\\\\\\\" all\\\\\\\'articolo di Giorgio Tonini e quindi anche sul fatto che centinaia di migliaia di pensionandi disoccupati rimarrebbero per anni (fino a 5) senza alcun reddito), indagherei ed informerei i lettori.

(verrà moderato):

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