Sep
27
2009
Appunti da New York
Obama, l'Italia, l'Europa e la cultura politica democratica...
Torno ad affacciarmi all'Assemblea generale dell'Onu, a New York, come osservatore parlamentare per conto della Commissione esteri del Senato, dopo tre anni che hanno cambiato il mondo. Tre anni fa, la politica internazionale ruotava attorno a George W. Bush, oggi il protagonista si chiama Barack Obama. Tre anni fa a rappresentare l'Italia c'era Prodi, oggi c'è di nuovo Berlusconi. I problemi sono in gran parte gli stessi, ma lo scenario è profondamente mutato. Per l'Onu e per il mondo. E un po' anche per l'Europa e per l'Italia.

1. Il primo cambiamento si chiama Obama. Bush aveva umiliato l'Onu, decidendo la guerra in Iraq in modo unilaterale, contro il Consiglio di sicurezza. Per George W. la pace non poteva essere che il risultato dell'affermarsi del modello americano nel mondo. E l'Onu era stata ridotta ad una tribuna dalla quale chiedere ai popoli della terra di schierarsi: o con noi, in quanto "come" noi, o contro di noi. Mercoledì scorso, con il suo storico intervento all'Assemblea generale, il presidente nero dal nome arabo, portato alla Casa Bianca dal fallimento di Bush, ha ribaltato la linea del suo predecessore, rivalutando e rilanciando il ruolo delle Nazioni Unite, come luogo della decisione comune, della comune assunzione di responsabilità, dinanzi ai grandi problemi del mondo che nessuna nazione, neppure la più potente, può affrontare da sola: dalla proliferazione delle armi nucleari ai cronici conflitti in Medio Oriente; dai cambiamenti climatici fino alla recessione economica. Obama ha proposto una vera e propria dottrina, che potremmo definire del multilateralismo efficace e responsabile. Dopo il suo intervento, più volte interrotto da applausi e accolto da una lunga e calda ovazione, l'aula sotto il Palazzo di Vetro si è svuotata nella corsa a congratularsi con il leader che più di ogni altro incarna oggi le speranze dell'umanità. Tutti, capi di Stato e di governo, hanno dovuto mettersi a confronto con la dottrina Obama. E nessuno, nemmeno Ahmadinejad, ha potuto negare al nuovo presidente degli Stati Uniti almeno un'apertura di credito. Obama ha voluto incassare subito, con un altro gesto di grande impatto. E' andato in prima persona a presiedere il Consiglio di sicurezza, quello che Bush aveva irriso, e ha fatto approvare all'unanimità una risoluzione che impegna le grandi potenze a riprendere la via del disarmo nucleare e ammonisce le medie potenze a non intraprendere la via della proliferazione: un chiaro segnale a Corea del Nord e Iran. Ma stavolta un segnale corale, per l'appunto multilaterale. I problemi restano giganteschi, ma l'America non è più sola, ha ritrovato l'Onu e anche un po' se stessa. L'Onu ha ritrovato l'America, il mondo ha ritrovato l'America migliore, quella di Roosevelt e di Kennedy. L'America del "soft-power", della forza della mano aperta, più potente di qualunque pugno chiuso.

2. Il secondo cambiamento, tutto e solo nostro, si chiama Berlusconi. Tre anni fa, all'Assemblea dell'Onu, andava in onda il leale dissenso tra il governo Prodi e l'amministrazione Bush. Il governo di centrosinistra aveva deciso il ritiro delle nostre truppe dall'Iraq, mentre aveva mantenuto la missione in Afghanistan, legittimata dall'Onu. E soprattutto, aveva conquistato gli alleati, americani ed europei, all'idea di dar vita ad una missione Onu di interposizione lungo il confine tra Libano e Israele. Il nostro multilateralismo contro l'unilateralismo, peraltro già in crisi, dell'amministrazione Bush. Ovvero: come essere amici leali e non servi sciocchi. Come spesso accade a questo nostro sventurato paese, il capolavoro libanese fu anche il canto del cigno del governo Prodi in politica estera, ucciso dalla sua stessa maggioranza, per la di lei gran confusione mentale. Mercoledì pomeriggio, a poche ore dal discorso del presidente Usa, in un'aula distratta e ormai semivuota, Berlusconi prende la parola per dire che è d'accordo in tutto e per tutto con Obama. Il problema, per Berlusconi ma soprattutto per l'Italia, è che non tutti hanno dimenticato che fino ad un anno fa il Cavaliere professava la stessa identità di vedute con George W. Bush.

3. Il terzo cambiamento riguarda ancora l'Italia. Tre anni fa il nostro ambasciatore all'Onu ci diceva che grazie alla missione in Libano e al chiaro orientamento multilateralista dell'Italia, che aveva preso con lealtà e fermezza le distanze dall'unilateralismo di Bush, il nostro paese aveva riconquistato attenzione e rispetto al Palazzo di Vetro. Oggi il barometro torna a volgere verso il brutto tempo. Helen Clark, ex primo ministro della Nuova Zelanda e oggi amministratrice del Fondo Onu per gli aiuti allo sviluppo, incontrando la nostra delegazione parlamentare ha lamentato il crollo del contributo italiano, col governo Berlusconi, dopo il forte incremento del governo Prodi. Più ancora della vostra inadempienza, ci ha detto sfoderando il suo sorriso migliore, ci sconcerta la vostra imprevedibilità. Stessa musica dalle parti dell'alto commissariato per i rifugiati: Antonio Guterres, ex primo ministro portoghese, ci ha detto che i respingimenti non sono sbagliati in sé, ma per le modalità con le quali avvengono, cioè in maniera indiscriminata e verso la Libia, un paese che rifiuta qualunque collaborazione con l'alto commissariato. Il collega della Lega Nord non è venuto all'incontro. Il leader libico Gheddafi, nel suo penoso, farneticante intervento di un'ora e mezzo, concluso tra le risate dei pochi superstiti, aveva lodato trenta volte l'Italia. Imbarazzante. Unico raggio di sole, la riunione con il responsabile per il "peace-keeping" (i famosi caschi blu), Edmond Mulet: grandi elogi per il magnifico impegno dell'Italia, in Libano e non solo.

4. Il quarto cambiamento riguarda l'Europa. L'aula distratta e ormai semivuota che ha ascoltato Berlusconi è la stessa che ha accolto Sarkozy e Gordon Brown. In pochi luoghi, come all'Assemblea dell'Onu, si coglie l'inadeguatezza dell'Europa degli Stati nazionali, nessuno dei quali ha la statura minima per poter essere preso sul serio. Gli europei sono ignorati, dagli europei stessi. Mentre tutti si domandano cosa risponderanno ad Obama la Cina e la Russia, o magari Israele e l'Iran. All'Onu, semplicemente, l'Europa non c'è. Ci sono ventisette staterelli che non riescono ad esprimere una posizione comune neppure sulla riforma del Consiglio di sicurezza. Francia e Regno Unito, come vecchie nobildonne decadute, difendono la loro ormai anacronistica posizione di membri permanenti con diritto di veto, eredità della seconda guerra mondiale. La Germania, sempre meno "europeista", vorrebbe semplicemente unirsi al club, sostenuta da Londra e Parigi che sperano così di consolidare la loro sempre meno giustificata posizione. Ma l'Italia, la Spagna, la Polonia, giustamente si oppongono. Sarebbe bello se il Parlamento europeo provasse a battere un colpo, proponendo che sia l'Unione come tale a far parte del Consiglio di sicurezza, come membro permanente con diritto di veto, alla pari con Usa, Russia, Cina, magari India e Brasile. Ma avremmo bisogno di un Obama europeo...

5. Il quinto cambiamento riguarda la cultura politica. Yukio Hatoyama, da pochi giorni primo ministro (la prima volta di un Democratico) di quello che lui stesso ha definito il nuovo Giappone, ha detto giovedì che la visione di Obama ha ispirato milioni di persone in tutto il mondo: "E io sono una di quelle persone".  Mercoledì, l'intervento del presidente americano era stato preceduto, come da tradizione, da quello del Brasile: e Lula stavolta non ha dovuto rappresentare l'opposizione democratica all'America di Bush, ma ha potuto lanciare la palla ad Obama, sul multilateralismo, sulla lotta alla povertà, sui cambiamenti climatici, certo che non l'avrebbe lasciata cadere. Da Lula, a Obama, fino ad Hatoyama. E' il pensiero, è la cultura politica democratica, verrebbe da dire "semplicemente" democratica, dopo la crisi del modello neo-conservatore, il punto di riferimento al quale guarda con speranza l'intera umanità. Solo in Italia pensiamo ancora che le risposte alle grandi questioni del Duemila possano trovarsi nel Novecento, magari nella dialettica tra "socialisti" e "popolari", o tra centro e sinistra. Se appena mettiamo il naso fuori dai nostri vecchi merletti, ci accorgiamo che il problema che abbiamo davanti a noi non è quello di riannodare i fili delle nostre storie, più o meno parallele, ma di dare futuro ai nostri valori. Con umiltà e coraggio, pazienza e tenacia.

2 commenti all'articolo - torna indietro
inviato da emighineecoca il 24 November 2009 16:56
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inviato da michele cozzio il 02 October 2009 19:47
perchè in Italia tardiamo (non riusciamo) ad accogliere un modello democratico del tipo USA o britannico?

perchè, al di là delle configurazioni geometriche e dei nominalismi che tali modelli possono assumere, i nostri politici faticano ad uscire da schemi di ragionamento convenzionali?

ma il popolo è bue solo in Italia?

Caro giorgio buon lavoro e grazie per la tua cronaca newyorkese

(verrà moderato):

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