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La "casa comune dei riformisti"

Intervento all'Assemblea annuale di libertàEguale - 5 ottobre 2002

Stiamo vivendo, come è del tutto evidente, un passaggio di grande difficoltà e di grande delicatezza per il Paese, non solo per la Sinistra e per l’Ulivo. Perché in queste ore sono in gioco tre cose: la natura dei DS, l’esistenza dell’Ulivo, la tenuta del bipolarismo politico nel nostro Paese.

Comincio da quest’ultimo punto. Credo che siano da salutare con apprezzamento le parole del Presidente Pera di ieri a Capri al Convegno dei giovani industriali. E tuttavia c’è qualcosa di inquietante nel fatto che è nel Centrodestra che sembrano aprirsi spazi di interlocuzione con i mondi che hanno manifestato nelle ultime settimane difficoltà crescenti di rapporto con il Governo.

E’ come se di fronte alla crisi dell’Ulivo, alla crisi della sua credibilità come alternativa praticabile di governo, alternativa realistica di governo, non ci fosse altra risorsa per questo sistema politico che una maggioranza che riesce perfino a farsi alternativa a sé stessa.

Questo è ciò che è in gioco nel nostro Paese: se l’Ulivo va in crisi come credibile alternativa di governo, va in crisi un sistema politico, quello che abbiamo costruito in questi anni con fatica, a volte avendo la sensazione di avere il Paese dalla nostra, a volte avendo la sensazione di remare contro corrente, cioè di fare un’operazione che andava contro un’identità culturale profonda del nostro Paese: il sistema politico fondato sulla competizione bipolare.

Per questo ho trovato molto giusto che Enrico Morando ieri abbia aperto la sua relazione citando il referendum del Friuli, perché quel referendum vittorioso ci dice che, nonostante tutto, il Paese non intende tornare indietro. Non dobbiamo dimenticare che se l'Italia ha conquistato la democrazia dell'alternanza lo deve anche – e non in misura marginale – alla sinistra democratica. Così come non dobbiamo mai dimenticare che se non l'ha avuta per mezzo secolo, non l’ha avuta, in modo particolare, per responsabilità della Sinistra; non l’ha avuta perché c’era una Sinistra che, per la sua collocazione internazionale e per la sua connotazione ideologica, non era spendibile come alternativa di governo.

Fu in quel contesto che Aldo Moro coniò per la Democrazia Cristiana lo slogan: “Noi dobbiamo essere alternativi a noi stessi.”.

Dopo aver vissuto la drammatica vicenda della democrazia bloccata, vorrei che ci evitassimo di sentirci dire da qualche esponente del Centrodestra: “Noi dobbiamo imparare a diventare alternativi a noi stessi.”. La prima volta, come è noto, è tragedia, la seconda è farsa.

Vengo al problema dell'intreccio – poco fa, giustamente, richiamato da Macaluso – tra la natura dei DS e l’esistenza dell’Ulivo. Il voto sull’Afghanistan ha spezzato un incantesimo che in tanti avevano coltivato. L’incantesimo, o l’illusione, che si possa tenere tutto insieme. Non le persone, non le forze politiche, che è giusto, è sacrosanto tenere insieme, come è giusto e sacrosanto il tentativo generoso, infaticabile direi, del nostro Segretario di tenere insieme il partito e il centrosinistra. Fassino ha ragione quando ricorda che si vince solo uniti: anche le elezioni amministrative ultime ce lo hanno detto.

La strategia delle alleanze è indispensabile, bisogna tenere tutto insieme.

Il problema, però, è su cosa teniamo insieme il tutto, cioè quale è l’asse strategico della nostra coalizione.

Mi pare che sia questa la questione che è emersa in maniera dirompente in questa settimana che andiamo a terminare e cioè: l’asse strategico è l’Ulivo come "casa comune dei riformisti", beninteso in una prospettiva di apertura alla sinistra critica e radicale oppure l’obiettivo è la Federazione della Sinistra che, poi, troverà un “modus vivendi” con un Centro democratico? Questo è il nodo che è emerso negli scorsi giorni.

Io vorrei dire ai nostri compagni della Sinistra del Partito che non c’è una differenza tra un Ulivo stretto e un Ulivo largo, perché anche sulla loro linea si sceglie tra una strategia ed un’altra strategia.

Il problema è: attorno a quale nucleo portante vogliamo costruire una coalizione che, certo, per vincere deve essere la più larga possibile?

Piero Fassino dice sempre una cosa ed io la ripeto qui con grande apprezzamento anche perché per alcuni anni, durante la nostra esperienza di governo, mi sono trovato in tante circostanze a dirla in solitudine: io sono tra coloro che vengono da un’esperienza cislina ed abitano in questo Partito e per tanto tempo mi sono trovato a dire, un po’ in solitudine, che senza l’unità sindacale non si possono costruire le condizioni per una vittoria dell’Ulivo.

La rottura dell’unità sindacale, tuttavia, non è di questi giorni, di queste ore e di questi mesi, è un processo che affonda le sue radici nella scorsa legislatura ed è una delle cause che ci hanno portato alla sconfitta, è una delle cause che ci hanno portato anche a non riuscire a portare a termine alcune riforme o a farle male. Probabilmente anche la riforma della scuola avrebbe avuto un altro impatto sul mondo della scuola se fosse stata fatta in un contesto di solidarietà sindacale; e se non siamo riusciti a portare a casa il contributivo pro rata per tutti, è stato perché in quel momento avevamo l’accordo della CGIL, ma proprio perché avevamo l’accordo della CGIL in quel contesto non abbiamo avuto il consenso dell’unità sindacale, quindi non abbiamo potuto farlo dal Governo.

C’è un momento nel quale l’unità sindacale è stata possibile: all’indomani delle elezioni del ’96 si era aperta una finestra. Questa finestra si è chiusa e si è chiusa per tante ragioni, ma una di queste ragioni è la scelta da parte del gruppo dirigente della CGIL, a partire da Sergio Cofferati, di privilegiare l’unità della CGIL rispetto all’unità sindacale.

Può essere apparso un comportamento realistico in quel momento, ma è un danno e un errore che stiamo ancora pagando. Io vorrei dire a Piero Fassino: caro Piero, ti siamo solidali nel tuo sforzo di tenere tutto insieme, perché l’unità è un valore sempre, tuttavia stiamo attenti a non pagare per l’unità di oggi un prezzo ancora più alto di quello che sta pagando il Sindacato per le scelte unitarie dentro la CGIL fatte qualche anno fa. Anche perché questa unità interna non è neutrale, apparentemente “teniamo tutto insieme”, in realtà perdiamo qualcosa, perché come la CGIL per tenere l’unità interna ha perso la possibilità di costruire l’unità sindacale attorno a un disegno di autonomia e riformismo, l'unico in grado di offrire un contributo forte al Governo dell’Ulivo e alla vittoria dell’Ulivo alle elezioni, allo stesso modo, l’ossessione dell’unità interna del Partito può provocare una conseguenza analoga nell’Ulivo. Può provocare la conseguenza della rottura dell’Ulivo, cioè esattamente la cosa che abbiamo visto in questi giorni, e lo spostamento di asse dei DS come c’è stato lo spostamento di asse della CGIL.

E’ vero, infatti, quello che dicono in tanti, che Sergio Cofferati non è un pericoloso massimalista, è una delle personalità forti della tradizione riformista del nostro Paese e del Movimento sindacale. E tuttavia la collocazione nella quale Cofferati ha dovuto porre la CGIL in questi mesi, non è la collocazione più adatta per costruire una piattaforma riformista. Stiamo attenti che non succeda la stessa cosa nei DS.

L’ultima cosa che voglio dire è che Rutelli, con un po’ di spregiudicatezza – però i leader devono avere anche un po’ di spregiudicatezza – e, devo dire, con altrettanta dose di coraggio, ha rotto l’incantesimo che noi potessimo tenere insieme tutto e ha messo i DS con le spalle al muro.

Noi adesso dobbiamo scegliere: possiamo scegliere una via che ci porta a costruire la Casa comune dei riformisti, cominciando con l’Assemblea dei parlamentari che è un punto di appoggio solido dal quale possiamo ripartire, oppure possiamo scegliere di dare alla Margherita la rappresentanza del riformismo nel nostro Paese. La Margherita, infatti, non è più il Partito Popolare.

La Margherita è un’altra cosa e, in particolare, è diventata e sta diventando sempre più un’altra cosa dopo che Rutelli ha fatto quel viaggio in Inghilterra e ha partecipato a quell'incontro con Blair che è stato una scelta simbolica.

Oggi la Margherita si sta affacciando alla porta del riformismo europeo. Sta a noi decidere se costruire con lei l’asse portante del riformismo italiano oppure se trovarcela come pericoloso competitore.